di Giancarlo Zoppini
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Chissà se a Jorge Luis Borges interesserebbe dimostrare che alcune norme sulla definizione agevolata delle vertenze fiscali, quelle relative alla riduzione delle pene pecuniarie a un diciottesimo, sono incostituzionali nella parte in cui prevedono come data impediente il 31 marzo p.v. (ad esempio, l’avviso di accertamento notificato entro quella data può essere definito con pagamento ultraridotto delle pene pecuniarie; notificato il giorno dopo, si torna alla riduzione ordinaria, oltre sei volte più onerosa). Si tratterebbe di sostenere che, avendo la Corte costituzionale stabilito con una sentenza del 1986 (la n. 175) l’illegittimità di quella norma del condono del 1982 che non prevedeva una data impediente non successiva alla sua entrata in vigore affinché la notifica degli avvisi di accertamento precludesse l’accesso al condono automatico, lo stesso vale, mutatis mutandis, cioè proiettando il dictum in avanti, anche per le norme odierne. Secondo la vecchia norma, infatti, chi voleva tombalizzare il rapporto tributario attraverso la (assai favorevole) definizione automatica doveva avere prima definito (pure in via molto agevolata) gli accertamenti (eventualmente) notificati fino all’attimo precedente all’accesso al paradiso fiscale. Tanto che l’Amministrazione finanziaria notificò una gragnuola di avvisi portanti grandi pretese e formulati alla bell’e meglio, in modo da raccogliere oblazioni supplementari dagli sfortunati destinatari desiderosi di guadagnarsi comunque un posto in paradiso. Ma, non potendo essere questi strani atti impositivi notificati a tutti, soltanto una percentuale modesta dei contribuenti vinse la lotteria dei supplementari. Qualcuno però non stette al gioco e il Var delle leggi gli diede ragione, ravvisando una violazione del principio di uguaglianza. Ora, se qualcuno si volesse provare nella dimostrazione dell’incostituzionalità delle nuove norme, forse Borges lo metterebbe in guardia dal provarci veramente, ammonendolo che si tratterebbe di un paio di cose non facilissime da sostenere: (i) in primis e a scanso di equivoci, che anche quella di oggi (come quelle di ieri, dell’altro ieri, fino al 1982 e più indietro ancora) è una forma di condono e non una curiosa forma di pace fiscale (del resto, «la guerra è pace. La libertà è schiavitù», scriveva un maestro inglese); (ii) la seconda, forse impossibile da dimostrare, può essere riassunta molto approssimativamente così: il tempo è sì un’immagine mobile dell’eternità (Platone), piena di oscurità (Plotino), tra cui vi è l’impossibilità di determinarne la direzione, tanto che è una mera credenza popolare quella per cui corre dal passato verso il futuro; parimenti non verificabile è l’opinione contraria, tuttavia più alta, che vede nel domani eterno la sua sorgente (Unamuno). Ma la conseguenza di tutto ciò (e qui sta il punto) è che, una volta stabilita l’incostituzionalità del condono del 1982, la logica giuridica in uno dei suoi cassetti dovrebbe contenere anche lo strumento per sostenere che, indipendentemente dalla concezione del tempo ivi segretamente racchiusa (e da quella che ognuno preferisce), la sentenza del giudice costituzionale vale anche per il condono di oggi. Insomma, la data del 31 marzo rischia di creare situazioni di disparità di trattamento del tutto irragionevoli (si pensi a chi riceve un pvc il 31 marzo e a chi lo riceve il giorno dopo: un pesce d’aprile indigeribile sia se aprile scorre in ragione di marzo, sia se è marzo a derivare da aprile, salvo osservare che quest’anno il primo di aprile cade di sabato). A complicare le cose si pone però, continuerebbe ad ammonirci Borges, quella scuola indiana per cui il presente è inafferrabile e quindi da negare, fino al punto, potrebbe sostenere qualcuno, di giustificare quelle norme fiscali che rendono il condono erratico o inafferrabile. Ancora più difficile, ci direbbe probabilmente il maestro argentino, sarebbe dimostrare l’incostituzionalità della norma che prevede che il condono della lite in cui il contribuente risulta due volte vincitore venga effettuato attraverso il pagamento del 5% della pretesa, se alla data di entrata in vigore della legge pende ricorso per cassazione. Altrimenti (i.e. quando l’Agenzia non ha fatto ancora ricorso a quell’altezza di tempo, se il tempo ha effettivamente un’altezza) l’obolo ammonta al triplo. In conclusione, mi pare che la dimostrazione dell’incostituzionalità di queste norme potrebbe darla soltanto Borges stesso o un suo erede, che certamente non sono io.
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