di Dario Ceccarelli
Calcio, tetto di 5 mila allo stadio 16 e 23 gennaio
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Bisognerebbe cominciare da Inter e Milan, entrambi vincenti su Lazio (2-1) e Venezia (3-0), e sempre più lanciate nella corsa per lo scudetto. Ma questa volta facciamo una eccezione. Una eccezione doverosa visto che, da quando è cominciato il campionato, della Juventus non facciamo che dirne peste e corna. E sottolineare i suoi ritardi e le sue inadeguatezze. Per non parlare del suo gioco, ritenuto da alcuni un oscuro retaggio del Medioevo, ancora centrato sull’antiquato concetto che la miglior difesa è la difesa e che lo «spettacolo», come ha sempre ribadito Allegri, è meglio andarlo a vedere al circo.
E Invece, alla 21esima giornata di campionato, ecco il miracolo: contro la Roma all’Olimpico, in una sorta di spareggio su chi è messo peggio tra Allegri e Mourinho, la Juventus batte i giallorossi con un 4-3 che ha quasi dell’incredibile per come è maturato e che, proprio per la sua spettacolarità, può paradossalmente diventare un formidabile spot per il calcio, gioco che in questi tempi di Covid neppure lui gode di buona salute.
All’Olimpico succede di tutto: sette gol, un rigore parato dall’ex Szczesny, l’espulsione di De Litg ma soprattutto si riaccende Madama rimontando in 7 minuti da un 3-1 che sembrava ormai una sentenza dopo le reti di Veretout, Dybala (momentaneo pareggio), Mkhitaryan e Pellegrini.
Col terzo gol di Pellegrini, realizzato su punizione, i giochi sembrano fatti. Vero che manca più di mezz’ora alla fine, però neppure Allegri avrebbe scommesso un euro sulla rimonta bianconera. Ma il genio del calcio spariglia le carte inventandosi un colpo di scena. Il colpo di scena è l’ingresso di Morata al posto di Kean. Lo spagnolo, bomber non sempre fulminante, prima scodella un preciso cross per Locatelli che firma il 3-2. Quindi propizia il 3-3 di Kulusevski. Infine, mentre Mourinho si contorce sulla panchina, De Sciglio realizza il quarto gol del sorpasso.
Sul 4-3 per Madama, alla Roma viene concessa un rigore per un braccio galeotto di De Ligt su tiro di Abraham. L’olandese viene espulso e Pellegrini va al dischetto: ma non è serata per la Roma perché il penalty viene respinto da Szczesny. Che dire? Dalla sfida tra il Conte Max e lo Special One, esce pesto Mourinho, questa volta polemico nel post partita con i suoi giocatori (ma con sé stesso mai?).
Bene invece Allegri. I bianconeri salgono a 38 punti, solo a tre punti dal quarto posto occupato dall’Atalanta che ha strapazzato (6-2) la povera Udinese costretta per l’effetto Covid a giocare con 11 giocatori contati (più due riserve) come si faceva nel calcio del secolo scorso. Qualcuno giustamente fa notare: ma c’è un senso? Non lo sappiamo, anche a volerlo trovare. Anzi: come direbbe Vasco Rossi, un senso non ce l’ha. Ma questo purtroppo è il calcio al tempo del Covid.
Tornando in vetta, le milanesi ridono. L’Inter, liquidando la Lazio, si riprende la testa della classifica lasciata al Milan soltanto per qualche ora nel pomeriggio. Alla sua ottava vittoria consecutiva, la squadra di Inzaghi ricorre a due difensori (Bastoni e Skriniar) per chiudere una partita più complicata del previsto per il momentaneo pareggio di Immobile, abile a sfruttare una distrazione della difesa nerazzurra. Decisivo Bastoni, bravo sia nel gol sia nell’assist per il raddoppio di Skriniar. L’Inter, pur soffrendo, comunque va dritta al cuore. Colpisce la sua sicurezza, la sua capacità di arrivare al dunque. Questo mercoledì s’incrocia con la Juventus nella Supercoppa. Un bel test per entrambe. Alla Juve può servire per rilanciarsi. All’Inter per ribadire non c’è trippa per gatti.
A gonfie vale anche il Milan, alla sua terza vittoria consecutiva. Col Venezia è una passeggiata. Ma lo è perchè i rossoneri giocano in scioltezza andando subito in vantaggio con Ibrahimovic. La successiva doppietta di Teo Hernandez arrotonda il risultato, ma non cambia la sostanza. La sostanza è che il Milan, ritrovando i suoi giocatori migliori, ha ritrovato freschezza e incisività. Per il momento è l’unico che può tener testa all’Inter.
E il Napoli? Il Napoli si conferma terza forza del campionato vincendo al Maradona dopo un periodo di vacche magre. I partenopei, con Spalletti guarito dal Covid , battono la Sampdoria con una mezza rovesciata di Petagna che conferma il suo ottimo momento. Una vittoria striminzita nel risultato (1-0) che non fa una piega per il gioco. Guasta la festa l’infortunio di Insigne. Come nella Juve quello di Chiesa, colpito duramente al ginocchio sinistro.
Non è facile parlare di Inter e Milan che volano, e della Juve che fa la remuntada, in un Paese messo ancora all’angolo dal Covid. Con la scuola che riapre tra mille ostacoli e gli ospedali di nuovo sotto pressione. Ogni settore lancia il suo grido di dolore, proclamandosi più vittima degli altri e il mondo del calcio, già messo male economicamente, aggiunge il suo carico di lamentele. Dopo la minaccia del governo di chiusura per un bel pezzo, la Lega ha avuto il buon senso di scegliere il male minore: e cioè di ridurre a 5mila il numero massimo di tifosi allo stadio. Certo, da metà capienza a cinquemila è un bel ridimensionamento.
Ma siamo sinceri: o così o niente, nel senso che la telefonata del premier Draghi al presidente della Fgci, Gravina, non ammetteva scappatoie: o voi del calcio vi date una mossa, oppure ci pensiamo noi a chiuder tutto. Messaggio ricevuto, e subito trasformato in una decisione che suscita ovviamente malcontento perchè gli stadi, essendo stati chiusi dal 23 dicembre al 6 gennaio, non hanno certo contribuito all’impennata dei contagi. In questo il calcio ha ragione. Ma come? Noi che giochiamo all’aperto, imponiamo il super green pass e l'uso della mascherina, veniamo trattati peggio di tante altre attività (bar, cinema, teatro etc.) che per giunta sono al chiuso?
La verità è che Il calcio, dopo tante prove di irresponsabilità, questa volta viene punito perfino più del necessario. Godendo di scarsa credibilità, il pallone è un bersaglio facile. Non rappresenta una «linea del Piave» come la scuola, dove lo scontro politico, per le conseguenze di una eventuale chiusura, è fortissimo.
Però resta un però: il calcio non è un fenomeno di folclore o un baraccone residuale. È invece un settore di notevole importanza, un industria di rilievo del Pese. E quindi, anche se le società hanno dissestato i bilanci buttando soldi a destra e a manca, non è giusto colpirle ancora di più. Ma vale sempre un vecchio proverbio: chi semina vento raccoglie tempesta. E il calcio di vento ne ha veramente seminato tanto.
Dario Ceccarelli
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