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«Coma», il trauma della pandemia secondo Bertrand Bonello

di Andrea Chimento

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Una scena tratta dal film “Coma”

Una scena tratta dal film “Coma”

Il regista francese firma una pellicola dedicata alla figlia, incentrata sul lockdown e gli anni in cui stiamo vivendo

16 febbraio 2022
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2' di lettura

Racconti di pandemia al Festival di Berlino: sono diversi i film presentati in cartellone che, fortunatamente, ragionano con grande attenzione sugli anni in cui stiamo vivendo, spesso attraverso forme simboliche e coraggiose.
Tra questi, una menzione speciale va a «Coma», nuovo lungometraggio di Bertrand Bonello, regista francese che ha firmato in passato film importanti come «Le pornographe», «Saint Laurent» e «Nocturama».

Presentato all'interno della sezione Encounters, «Coma» è un lungometraggio che si apre con una vera e propria lettera scritta dal regista a sua figlia: quest'ultima, mentre si apprestava a entrare nella maggiore età, ha visto il mondo fermarsi a causa della crisi sanitaria. Dopo questo incipit particolarmente intimo, il film ci mostra una ragazza costretta a stare nel limbo della sua cameretta durante il lockdown, tra incubi terrificanti, chiamate di gruppo con le sue amiche e una curiosa influencer, di nome Patricia Coma, di cui segue ogni nuovo video con grande attenzione.È indubbiamente un lungometraggio anomalo «Coma», un film teorico che unisce riflessioni esistenziali, sperimentazioni narrative e collegamenti tra il trauma individuale di un'adolescente e quello collettivo dell'intero pianeta.

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Un film toccante e sorprendente

Mescolando animazione e live action, sogno e realtà, video su youtube e materiali di repertorio, Bonello dirige un'inquietante sinfonia audiovisiva sulla pandemia, a tratti fin troppo arzigogolata, ma comunque sorprendente e capace di lasciare più di uno spunto di riflessione. Quello che emerge, però, è soprattutto un prodotto toccante di un padre (il regista) che cerca una connessione con la figlia in un momento tanto complicato, provando a rendere la sua protagonista una sorta di sineddoche dell'universo adolescenziale ai tempi del lockdown.Anche i pericoli del mondo virtuale, così come quelli relativi al riscaldamento globale, sono al centro di un lungometraggio sulle paure contemporanee, ma anche sul desiderio sempre più impellente di provare a riconnetterci con le persone che più amiamo.Se le due protagoniste sono interpretate da Louise Labeque (che aveva già lavorato con Bonello nel precedente «Zombi Child») e Julia Faure, una segnalazione importante va anche a un gruppo di attori celebri che hanno prestato la loro voce partecipando a questo film: da Laetitia Casta a Louis Garrel, da Vincent Lacoste a Anaïs Demoustier, fino al compianto Gaspard Ulliel, attore morto tragicamente lo scorso 19 gennaio a seguito di un incidente sugli sci.

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Una scena tratta dal film “Return to Dust”

Return to Dust

Un altro duro dramma famigliare è il film cinese «Return to Dust» di Li Ruijun, presentato in concorso.Protagonisti Ma e Guying, che vengono costretti a un matrimonio combinato: nonostante tutto, i due impareranno a volersi bene, ad aiutarsi e a resistere in mezzo a tante difficoltà. Sesto lungometraggio di Li Ruijun, «Return to Dust» è un film semplice e intenso allo stesso tempo, capace di far emozionare raccontando una relazione sentimentale decisamente diversa da quelle che siamo abituati a vedere sul grande schermo.Seppur il regista non si prenda grandi rischi e la messinscena ricordi quella di tanti altri film cinesi di questi anni, la pellicola si segue volentieri e quello che viene alla luce è un dramma carico di umanità, che ha ritmi dilatati ma uno sguardo sempre empatico con i personaggi in scena.Vista anche la grande attenzione che i festival e le giurie riservano al cinema cinese contemporaneo, potrebbe trovare un posto nel palmarès finale.


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