Food
Pubblicità

Food

De Cecco: «Per la pasta nessun problema sulle materie prime»

di Giorgio dell'Orefice

Immagine non disponibile
Una delle fasi di lavorazione dei rigatoni De Cecco

Una delle fasi di lavorazione dei rigatoni De Cecco

A capo di una delle aziende alimentari più note con un fatturato da 520 milioni, non teme gli effetti della guerra: «Da Russia e Ucraina arriva grano tenero, spaghetti e penne si fanno con quello duro»

23 marzo 2022
Pubblicità

4' di lettura

«Mio nonno diceva: “il grano è come l’acqua del fiume, non finisce mai”. Anzi, rispetto ai tempi di mio nonno forse i fiumi non godono di grande salute e persino il Po si è essiccato. Ma il grano no. Quello non manca e non mancherà». A parlare dell’attuale congiuntura del settore dei cereali e del grano duro in particolare è uno dei principali produttori di pasta made in Italy, il Cavalier Filippo Antonio De Cecco a capo di un’azienda da 520 milioni di euro di fatturato e di solito piuttosto restìo a parlare con i media. Ma considerato l’attuale momento straordinario ha fatto un’eccezione.

«Tutto è cominciato – racconta De Cecco – la scorsa estate con il raccolto 2021, che per inciso per l’Italia è stato eccezionale soprattutto sotto il profilo qualitativo. Non è stato così però per il Canada, tra i principali produttori mondiali che per difficoltà climatiche ha previsto una produzione 2021 di 2,5 milioni di quintali contro la media di 6,5 milioni. Da lì si è innescata una spirale di aumenti dei listini che ha portato il prezzo del grano duro dai 30 euro al quintale fino a oltre la soglia dei 50 euro. Queste quotazioni sono continuate per tutto l’anno fino a raggiungere a fine gennaio il massimo di 56-57 euro. Poi un’inversione di tendenza e una serie di limature al ribasso che si pensava potessero continuare quando è scoppiata la guerra».

Pubblicità

Immagine non disponibile

Il Cavaliere Filippo Antonio De Cecco

E con il conflitto i timori sugli approvvigionamenti.
In realtà si è fatta un po’ di confusione. Russia e Ucraina sono grandi produttori di grano tenero che è la materia prima di pane, biscotti e prodotti da forno. Per la pasta serve obbligatoriamente il grano duro che rappresenterà il 10 forse il 20% massimo del raccolto di Russia e Ucraina. Ma le fake news hanno fatto ripartire gli aumenti di prezzo.

Non vede problemi di carenza di materie prime?
Direi proprio di no. L’industria italiana della pasta ha bisogno in media di 60 milioni di quintali l’anno. Ne produciamo in media 40 milioni. Un terzo lo compriamo all’estero. La De Cecco ha scorte di grano nazionale fino a tutto settembre e per il grano straniero fino a tutto il 2023. Ma soprattutto fino ad allora ci sarà a giugno un nuovo raccolto che si preannuncia molto abbondante. Tanti agricoltori, visto il positivo trend di quotazioni, quest’anno hanno seminato grano duro.

Con la pandemia prima e gli attuali venti di guerra si fa un gran parlare della necessità di costruire una sovranità alimentare. L’Italia può farcela?
Mi fa sorridere che i primi a parlarne oggi siano gli agricoltori e le loro organizzazioni. Peccato che il tema sia stato accantonato per molto tempo. Si guardi al settore dell’olio d’oliva: fino agli anni 90 eravamo il principale produttore al mondo e adesso siamo stati surclassati dalla Spagna. Lo scorso anno superati anche da Grecia e Tunisia. Bisognerebbe chiedersi perché queste produzioni simbolo del made in Italy siano state abbandonate.

Quanto è importante la materia prima nella pasta?
Per la qualità del prodotto finale è importante al 50% l’altro 50% dipende dalle tecniche di lavorazione che hanno fatto enormi passi in avanti. Adesso le nuove tecnologie di essiccazione della pasta ad alte temperature hanno accorciato i tempi di lavorazione riducendo il peso sul prodotto finale della qualità della materia prima.

E il tema dell’origine del grano duro e della pasta 100% made in Italy?
Noi restiamo deficitari per almeno un terzo delle materie prime e le dobbiamo acquistare dall’estero. Ma c'è anche un tema qualitativo. La qualità del grano duro italiano è molto legata alle condizioni meteo. Se piove in primavera subito prima del raccolto la qualità viene penalizzata. Il grano duro di Arizona e California invece è molto più stabile sul piano qualitativo perché coltivato nel deserto con l’irrigazione. In condizioni cioè sempre uguali.

L’industria della pasta è accusata di comprare grano all’estero perché costa meno.
Quest’anno c’è stato un raccolto eccezionale in Australia con un tenore proteico inavvicinabile per i grani italiani che pure in questi anni sono migliorati. Tutti i
produttori di pasta di qualità stanno acquistando grano
duro australiano a un prezzo
di 62 euro a quintale.

Gli agricoltori sostengono che siamo deficitari sul grano duro o sul mais perché nella media i prezzi non sono remunerativi.
Lasciamo perdere l’attuale spirale di rialzi che dura dalla scorsa estate. In media il grano duro viene venduto a 30 euro a quintale. Trenta anni fa, prima dell’avvento dell’euro un quintale di grano duro veniva venduto a circa 8mila lire, 4 euro di oggi. Mi pare che un percorso di valorizzazione ci sia stato. E poi un’ultima considerazione. Al netto dei rialzi di questi mesi il grano duro veniva venduto a 30 euro al quintale negli Stati Uniti, in Canada, in Europa e in Australia. Perché quel prezzo è remunerativo in tutto il mondo tranne che in Italia?

Riproduzione riservata ©
Pubblicità
Visualizza su ilsole24ore.com

P.I. 00777910159   Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie  Privacy policy