di Michele Faioli
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Chi osserva il sistema italiano delle politiche attive del lavoro si pone almeno tre domande, sapendo che la fase post-referendaria del 2016 è stata tragicamente caratterizzata da una rivisitazione, tra il 2018 e il 2019, della legislazione regionale e di quella nazionale che non ha dato gli esiti che alcuni auspicavano. C’è un dato oggettivo che fonda questo giudizio: le significative risorse assegnate dal Pnrr al miglioramento del sistema delle politiche attive non muovono dal fatto che siamo stati particolarmente bravi negli anni passati nel gestire le politiche del lavoro, ma ahinoi il Pnrr fotografa inefficienze e incapacità che si concretizzano, ancora oggi, nella mancata realizzazione di un meccanismo di promozione dell’occupabilità che sia comparabile con altri grandi Paesi europei.
Ma torniamo alle tre domande. Come superare il regionalismo differenziato nelle politiche attive, data l’inefficienza che deriva dal Titolo V della Costituzione e dai relativi riflessi sulla ripartizione dei poteri dalla quale origina una significativa funzione legislativa regionale in materia di collocamento, servizi per l’impiego, sostegno all’inserimento dei vulnerabili e formazione professionale; come garantire i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale e la standardizzazione del percorso di sostegno nelle fasi di disoccupazione/inoccupazione; come rafforzare i meccanismi di condizionalità, collegandoli a un effettivo esercizio del diritto individuale alla formazione continua. Per essere più diretti: il cittadino esercita o meno un diritto sociale che si concretizza in servizi che non dipendono dal fatto di esser nati in una certa Regione e non in un’altra?
C’è una soluzione a portata di mano. Si tratta di valorizzare ulteriormente l’intuizione del legislatore del 2015 relativa al cosiddetto fascicolo elettronico del lavoratore, ossia un meccanismo di collocamento nel mercato del lavoro data-centrico, interconnesso con l’intera storia della persona, dalla scuola al lavoro, dalla formazione specifica a quella continua e volto ad agevolare la conoscibilità di competenze, talenti, professionalità. Sarebbe uno strumento messo a disposizione dei datori di lavoro che cercano manodopera, anche per il tramite di servizi per l’impiego, pubblici e privati. Sarebbe altresì il modo mediante cui si riesce a verificare quali sono le competenze da rafforzare per restare nel mercato del lavoro. Ci sono molti benefici già segnalati in recenti studi che come Università Cattolica, con l’Università Roma Tre e la Sapienza Università di Roma, stiamo svolgendo da tempo, i cui risultati saranno presentati anche il 23 febbraio nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica – sede di Roma.
Per realizzare il fascicolo elettronico, si può immaginare, da una parte, di consolidare la digitalizzazione della PA, con cloud, sistemi applicativi e centri elaborazioni dati e, dall’altra, come proponiamo nelle nostre ricerche universitarie, di introdurre un sistema di registri distribuiti, noto anche con la formula di “social blockchain”. Una tecnologia, quella della blockchain, che ricorrendo a uno schema digitale crittografico può rendere giuridicamente possibile il trasferimento online di dati, valori, diritti e informazioni, senza la presenza di terzi certificatori e permettere alla pubblica amministrazione di ridurre i costi e rafforzare la fiducia con i cittadino/lavoratore.
Il punto da cui muove la nostra ricerca attiene alla valutazione dell’impatto della blockchain sul sistema pubblico/privato che gestisce le politiche del lavoro e la previdenza sociale. Nelle politiche del lavoro, la blockchain sociale potrebbe permettere di costruire in modo efficiente un sistema unitario (Stato/Regioni) che attendiamo dal 1997 e che l’Europa sollecita. È un sistema volto a facilitare il matchmaking tra domanda e offerta di lavoro, mediante la creazione del fascicolo elettronico del lavoratore in blockchain, verso cui confluirebbero i dati relativi alla professionalità acquisita e alla formazione. Di conseguenza gli operatori del mercato potrebbero essere agevolati nelle ricerche di personale qualificato. Inoltre, il disoccupato potrebbe selezionare la formazione più adatta alla propria storia professionale e far registrare per fini di certezza pubblica tale formazione che andrebbe ad arricchire il libretto digitale. I centri per l’impiego potrebbero sgravarsi di quella parte di lavoro burocratico che tanta energia toglie per l’allocazione di persone nel mercato del lavoro. Le agenzie di somministrazione sarebbero agevolate nella condivisione di curriculum e professionalità.
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