di Matteo Prioschi
Dalla rivalutazione a quota 103, le novità pensionistiche del 2023
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Chi, nel 2022, ha percepito un trattamento pensionistico di valore complessivo superiore a 2.101,52 euro lordi mensili, deve attendere fino a marzo per vedere tale importo aumentare in base all’inflazione registrata l’anno scorso. Infatti il 24 gennaio Inps ha comunicato che la rivalutazione di tali assegni non avverrà con la mensilità di febbraio, come si era ipotizzato.
La perequazione, di norma, viene effettuata con la mensilità di gennaio, quando gli importi in pagamento l’anno precedente vengono aggiornati al valore stimato dell’inflazione di tale anno, nonché al valore definitivo di due anni prima. Quest’anno, però, è stato caratterizzato da due “anomalie”.
La prima è che l’adeguamento al valore definitivo del 2021 è stato anticipato negli ultimi mesi del 2022. La seconda è che, poiché nel disegno di legge di Bilancio 2023 era prevista una modifica delle regole della rivalutazione e l’approvazione della norma si stava dilungando, il 22 dicembre Inps ha comunicato che «al fine di evitare la corresponsione di somme potenzialmente indebite...la rivalutazione è stata attribuita in misura pari al 100% a tutti i beneficiari il cui importo cumulato di pensione sia compreso nel limite di quattro volte il trattamento minimo in pagamento nell’anno 2022 (pari a € 2.101,52). Per i pensionati il cui trattamento pensionistico cumulato è superiore al predetto limite, la rivalutazione sarà attribuita sulla prima rata utile dopo l’approvazione della legge di Bilancio 2023».
L’ultima frase lasciava presupporre che l’adeguamento sarebbe stato effettuato con la mensilità di febbraio, dato che la legge di Bilancio è stata approvata a fine dicembre. Invece ora è arrivato il posticipo a marzo, mese in cui verranno corrisposti anche gli importi relativi ai primi due mesi dell’anno.
Peraltro, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici di valore oltre quattro volte il minimo è parziale e quest’anno avviene con regole differenti rispetto all’anno scorso.
Infatti, il valore provvisorio dell’inflazione, pari al 7,3%, viene corrisposto solo in parte e in misura decrescente rispetto all’importo della pensione, fino ad arrivare a un minimo del 32% dell’aumento del costo della vita. Quindi, invece del 7,3%, i trattamenti oltre 5.253,80 euro lordi mensili verranno incrementati del 2,336 per cento. Con le regole valide quest’anno, la percentuale si applica all’intero importo in pagamento, mentre l’anno scorso le aliquote della rivalutazione si applicavano a scaglioni.
In pratica, ipotizzando un assegno di 2.800 euro (nel 2022), quest’anno tale valore viene incrementato del 3,869 per cento; con il sistema a scaglioni sarebbe stato incrementato del 7,300% fino a 2.101,52 euro; del 6,205% per la parte oltre 2.101,52 e fino a 2.626,90 euro; del 3,869% per la parte oltre 2.626,90 euro (in realtà l’anno scorso gli scaglioni erano diversi ma per semplificare utilizziamo quelli di quest’anno). La conseguenza è che con le regole attuali l’assegno passa a 2.908,33 euro circa, con il meccanismo a scaglioni sarebbe diventato di 2.992,69 euro.
Matteo Prioschi
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