di Luca Tremolada
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Ci vorranno cinque anni, 10 miliardi all’anno, 50 milioni solo di sviluppo e almeno 10 mila nuovi posti lavoro prima che il metaverso concepito da Mark Zuckerberg sia usato da milioni o miliardi di persone. Nell’attesa è già possibile accedere a pillole, piccoli frammenti su cui già stanno lavorando e che andranno forse ad animare la visione un po’ antica alla Ready Player One che il fondatore di Facebook ha voluto comunicare per generare interesse nel mercato degli sviluppatori. Diciamo subito che se vi aspettate di base i Fantasmi della forza di Guerre Stellari che si sono visti nei video di presentazione di Meta rimarrete delusi.
Di concreto nel disegno virtuale di Meta c’è la piattaforma per la realtà virtuale di Oculus acquisita nel 2014 per due miliardi di dollari. In sette anni gli ingegneri hanno lavorato di innovazione incrementale sul visore, adattando i contenuti ai limiti hardware della tecnologia. L’ultimo nato uscito nell’ottobre dell’anno scorso si chiama Oculus Quest 2: è un “all in one“ (non necessita di altro hardware e può essere utilizzato senza un computer o altro dispositivo che lo comandi) e senza dubbio è il miglior visore di realtà virtuale che potete trovare a un prezzo non proibitivo (349 euro per il caschetto e due controller). È più leggero, più stabile e l’immagine è finalmente più nitida.
La latenza è uno dei maggiori problemi che causano la motion sickness (o chinetosi) quel senso di nausea che ha sempre minato l’introduzione di questa tecnologia. Per ridurla i caschetti devono avere una frequenza di aggiornamento almeno di 90 Hz (Quest 2 supporta i 120Hz).
Il problema sono i contenuti non sempre all’altezza. Vuole dire avere tempi lunghi, permettere al giocatore di prendere confidenza con i controlli; per esempio, se l’ambiente virtuale si muove in modo diverso da ciò che il cervello si aspetta, ci sarà un conflitto fra quelle che sono le aspettative e ciò che l’occhio vede effettivamente. Nel tempo Oculus e chi progetta esperienze in 3D sono riusciti a ridurre i malesseri da chinetosi ma non li hanno eliminati del tutto.
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E comunque parliamo di mascheroni lontani dagli occhiali alla moda mostrati nel video di Metaverso. Mentre l’app store di Oculus che è ad oggi la metafora interpretativa per intuire quello che ha in mente Zuck è già popolata di giochi, video a 360 gradi ed esperienze più o meno interattive come l’esplorazione di luoghi d’arte e gli spettacoli. In ambito aziendale invece la Vr trova applicazioni in alcuni settore come la manutenzione, formazione e comunicazione.
A partire dal 2022 Oculus Quest 2 si chiamerà Meta Quest e conterrà le Meta App. Detto altrimenti, il brand Oculus sparirà. L’applicativo che forse è più interessante è Horizon Workrooms, lanciato in agosto, che vuole essere una nuova piattaforma per fare smart working in VR. Come ha spiegato Andrew Bosworth, vicepresidente della divisione AR/VR di Facebook, non sarà un servizio di videoconferenza con gli avatar ma vuole essere un nuovo modo di lavorare nel quale si potranno condividere file e progetti, replicare desktop o usarlo come lavagna elettronica. La gestione dello spazio con i controller e quindi l’interfaccia è forse l’aspetto più critico del progetto insieme a quello legato alla produzione di contenuti da parte dei concorrenti o di sviluppatori indipendenti.
Meno immaginifica, più concreta nelle applicazione ma non meno complicata è invece la sfida di Project Aria: niente visore chiusi su mondi sintetici ma occhiali “normali” capace di inviare e ricevere informazioni dal web, registrare video, scattare foto e accedere a ologrammi e artefatti digitali. Di concreto Facebook ha lanciato i Ray-ban Stories con Essilor Luxottica che si limitano però all’aspetto social (video e foto). Esistono però altre esperienze di smart glass.
La più convincente è la piattaforma Windows Mixed Reality (prima chiamata Windows Holographic). In particolare, nel corso dell’evento, sono stati annunciati due progetti per l’evoluzione del metaverso: Dynamics 365 Connected Spaces e Mesh per Microsoft Teams. La prima soluzione, ora in anteprima, fornisce “una nuova prospettiva sul modo in cui le persone si muovono e interagiscono con gli spazi e su come gestiscono la salute e la sicurezza in un ambiente di lavoro ibrido”.
Il secondo, invece, è una modalità di “comunicazione collaborativa che rende la presenza umana l’ultima frontiera della connessione. Grazie a questa piattaforma, tutti i partecipanti in una riunione possono essere presenti attraverso avatar personalizzati e spazi immersivi a cui si può accedere da qualsiasi dispositivo, senza bisogno di attrezzature speciali”.
Ma nonostante i numerosi smart glasses in circolazione manca un ecosistema di riferimento di applicazioni. Facebook ha lanciato la sua candidatura. Per ora di concreto c’è solo quello.
Luca Tremolada
Giornalista
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