di Angelo Flaccavento
Hermès PE 2023
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Giunti al quinto giorno, finalmente, a Parigi si sprigiona una scossa di energia. Subito, di primo mattino, da Junya Watanabe. Assenti causa covid per trenta mesi, i designer giapponesi tornano in città, ricordando a tutti perché li si apprezza: verve inventiva, forza iconoclasta, intuito sovversivo. Watanabe guarda agli anni ottanta londinesi dei new romantic: David Sylvian, Duran Duran e il meno conosciuto, ma grandemente influente, Martin Degville; guarda anche a casa, per così dire, ai pipistrelli e ai volumi decostruiti di Rei Kawakubo, che proprio in quegli anni arrivò in Europa. La crasi delle due referenze è perfetta: trucco pesante e capelli rasati, colorati e cotonati puntano in una direzione, in maniera peraltro così letterale da apparire ingenua; grandi spalle, volumi sbilenchi e rasoiate brutali nell'altra, e l'effetto è elettrizzante. Aiuta di certo la musica, medley di tutti i successi dei Duran Duran, ma la carta vincente è, nonostante tutto, l'assenza di nostalgia: la proposta è corrente, non citazionista; il contenuto moda, in particolare la liquefazione del tailoring, è alto.
Da Noir Kei Ninomiya siamo in altri territori, seppur il sottotesto punk - vedi alla voce metalleria - sia palpabile. Qui il racconto punta infatti al fantasy e al noir, tra fatine e menadi vestite di aculei, cinghie, spuntoni, lana d'acciaio e vari ammennicoli da pulizia della casa resi oggetto di un recupero fantasioso. Il sinistro stempera nel domestico e si sorride. Sono anni ormai che Rei Kawakubo, mente e motore di Comme des Garçons, ha smesso di far vestiti per darsi all'arte delle forme aliene e bulbose. O meglio, i vestiti li fa sempre, ma li mette in negozio e non li manda in passerella, preferendo per quest'ultima l'alto concetto. L'operazione va avanti da tempo, ed è diventata ripetitiva. A questo giro Kawakubo riflette sulle brutture del mondo e sul desiderio di trovare una nuova fratellanza. Il suo lamento muove dal bianco e nero per arrivare ai fiori colorati, ma è un gioco che da Comme è già stato giocato troppe volte. Da una radicale di tal risma, ci si aspetta una radicale rinuncia alla comfort zone.
Nadège Vanhee-Cybulski, da Hermès, abbandona la zona di confort e si impegna ad aumentare energia e temperatura. Parla di un immaginario rave nel deserto, per il quale concepisce un guardaroba molto fluido e decisamente colorato di abiti e outerwear arricchiti con dettagli di corde, coulisse e occhielli desunti dall’armamentario di campeggio e trekking. L'ispirazione outdoors in chiave chic è una benvenuta novità nella maison dall'immaginario equestre, ma l'esecuzione ha qualcosa, insieme, di molto letterale e di forzato, e non convince.
Rimane in territori noti Ann Demeulemeester, alla cui guida creativa, dopo l'acquisto da parte di Dreamers Factory, sta un team anonimo. Anonimato che si traduce in una notevole ortodossia al codice - allungamenti, decostruzioni, la pelle nera - ma anche, questa volta, in una palpabile freschezza che è positivo indice di una nuova direzione. Meno convincenti certi styling con camicie schiacciate sotto top trasparenti, rimando troppo ovvio al lavoro di un altro belga: Martin Margiela. L'identità, qui, è da mettere a fuoco.
Si parla molto in questi anni di body positivity e allargamento dei parametri in tema di corporeità, ma sono davvero pochi i marchi che affrontano l'argomento in maniera onesta invece che furbetta. Uno di questi è Ester Manas. L'estetica è voluttuosa e carnale, ma anche immediata: drappeggi, bottoncini, aperture lasciano che i piccoli pezzi, invero succinti e provocanti, si adattino ad ogni silhouette, glorificandola. È una moda sexy, ma non scontata, che molto fa riflettere, in senso positivo.
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