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Resilienza, la parola magica che non soccorre più il Pil cinese

di Rita Fatiguso

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Nel 2022 la crescita tocca un risicato 3% contro il 5,5% atteso, a dicembre si è azzerata. Covid-19 e domanda estera in calo riportano l’orologio di Pechino a quarant’anni fa

17 gennaio 2023
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3' di lettura

La resilienza non basta più all’economia cinese. Si torna a quarant'anni fa, quando la Cina cercava in ogni modo di imboccare la via dello sviluppo per milioni e milioni di persone. Il segretario generale Xi Jinping, riconfermato a ottobre con un terzo storico mandato, l'ha ripetuto come un mantra: la Cina è resiliente, assecondando gli eventi in maniera disciplinata saprà ritrovare la crescita. Risultato finale: +3% Pil nel 2022, crescita nulla nel quarto trimestre, +3% nel 2022, ai minimi in quarant’anni.

Troppo tardi per l’immunità

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Il report dell’Ufficio nazionale di statistica presenta il conto di un anno con un finale imprevedibile: il passaggio dalla quarantena stretta contro il coronavirus al “liberi tutti” delle ultime settimane, a due passi dalle migrazioni del Capodanno lunare.

Il ritardo con il quale i cinesi stanno vivendo l’immunità di gregge forzata a tre anni dal primo morto per Covid-19, in Cina, l'11 gennaio del 2020, sta presentando il conto.

Gli anni del lockdown sono stati aiutati da una forte domanda specie dal Nord America e in parte dall’Europa, c’è stato spazio per la resilienza, ma la richiesta dall’estero è data in calo almeno del 30% e, soprattutto, i morti da coronavirus, circa 2mila al giorno dopo quelli dichiarati negli ultimi trenta giorni, presentano il conto. Strozzature nella catena degli approvvigionamenti, ritardi nelle forniture e nelle consegne in concomitanza con il rallentamento naturale legato al Capodanno lunare, già dietro l’angolo.

Alla base della pessima performance di fine anno, che si è attestata su livelli inferiori alle stime del Governo di Pechino, ci sono stati problemi destinati solo a crescere. Non è detto che i contagi abbiano raggiunto il picco, non è certo se e quando la curva inizierà a calare.

Gli effetti dell’inversione di rotta

Non solo. La fine della quarantena ha coinciso con gli effetti a catena del crollo del settore immobiliare iniziato già nel 2021, un problema che Pechino cerca, giorno dopo giorno, di arginare con robusti aiuti al settore. Di fatto il 2022 è forse l’anno in cui più di tutti la Cina ha dovuto registrare uno scarto pesante tra dato atteso e dato registrato, il 5,5% contro il 3 per cento. Quella stessa resilienza che ha portato l’economia a risalire la china nel 2021 con un’ottima prestazione finale, fino all’8,1% del 2021.

L’economia cinese, invece, ha rallentato verso la fine del 2022, addirittura a un passo inferiore rispetto alle previsioni: la stima mediana per il 2022 era alla vigilia tra il 2,7% (cifra aggiornata di recente dalla Banca Mondiale) e il 3,2% (Fmi), ma l’ultimo trimestre ha tolto ogni speranza di ripresa.

In più, lo spettro della disoccupazione. Negli ultimi 12 mesi Pechino ha creato un totale di 11,06 milioni di nuovi posti di lavoro urbani, raggiungendo appena l’obiettivo di 11 milioni, mentre il tasso di urbanizzazione a fine 2022 è aumentato al 65,22%. Gli investimenti in immobilizzazioni sono saliti del 5,1% (contro ipotesi a +5%).

Che anno del coniglio 2023 sarà

Ma la sentenza è inappellabile. «Le basi della ripresa non sono solide poiché la situazione globale è ancora complicata e grave, mentre la tripla pressione interna della contrazione della domanda, dello shock dell’offerta e dell’indebolimento delle aspettative è ancora incombente», ha ammesso lo stesso Ufficio nazionale di statistica.

L’anno del Coniglio - in generale simbolo di equilibrio e ottimismo - si presenta complicato per i nuovi leader cinesi pronti annunciare i target di crescita per il 2023 a marzo, in occasione della Plenaria del Parlamento, con un nuovo premieri lo stesso ex segretario del partito di Shanghai, Li Qiang, destinato a sostituire Li Keqiang, rimasto in sella per otto lunghi anni.

Che cifra di crescita darà il nuovo premier? Difficile prevederlo. Gli unici segnali positivi sull’outlook del 2023 sono arrivati dalla produzione industriale di dicembre (+1,3% da +2,2% di novembre a stime a +0,2%), mentre il tasso di disoccupazione rilevato si è attestato al 5,5%, risollevandosi dai massimi degli ultimi sei mesi al 5,7%. Ma le vendite al dettaglio, attese a -8,6% vendite al dettaglio sono diminuite dell’1,8%, contro il -5,9% di novembre. Bisognerà trovare una via di fuga, quale possa essere questa volta è difficile prevederlo.

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