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Vaticano, il prestito negato dallo Ior per il palazzo di Sloane Avenue «per evitare riciclaggio»

di Carlo Marroni

Vaticano, fondi Segreteria di Stato: l'immobile di Londra al centro del processo

Il presidente De Franssu al processo: prestito di 150 milioni di euro richiesto dalla Segreteria di Stato nel marzo 2019 per estinguere il mutuo troppo oneroso

17 febbraio 2023
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4' di lettura

Lo Ior negò il prestito alla Segreteria di Stato. Il fatto era noto da molto tempo, ma non era mai raccontato nei dettagli: nel 2019 la banca vaticana, con sede nel Torrione Niccolò V, rifiutò di erogare un prestito di 150 milioni di euro richiesto dalla Segreteria di Stato per estinguere il mutuo troppo oneroso che gravava sul palazzo di Sloane Avenue. Motivi: sia perché la mancava adeguata documentazione sia «per non incorrere nella possibile accusa di riciclaggio».

Una lunga spiegazione quella del presidente dello Ior, Jean-Baptiste de Franssu, che ha testimoniato alla 46esima udienza del processo che si sta celebrando in Vaticano sullo scandalo del palazzo di Londra, un investimento ormai liquidato che ha generato perdite per oltre 200 milioni di euro. De Franssu ha anche riferito che in una riunione in Segreteria di Stato il 25 luglio di quell’anno, lui e il board dell’Istituto vennero «tacciati di incompetenza».

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«Lo Ior non è una banca, non può fare prestiti»

De Franssu, dal luglio del 2014 presidente dello Ior, citato come testimone dalla stessa parte civile Ior, ha ripercorso le fasi relative alla richiesta, alla valutazione e al diniego del finanziamento, al termine delle quali l’Istituto, il 2 luglio 2019 nella persona del dg Gianfranco Mammì, inoltrò al Promotore, il “pm”, una delle due denunce per le “anomalie” rilevate dal proprio organo di controllo (l’altra fu dell’Ufficio del Revisore generale, una sorta di Corte dei Conti) che fecero partire la relativa inchiesta e poi l’attuale processo. «Uno dei punti di forza dello Ior - ha precisato - è quanto bene abbia lavorato la governance dell’Istituto. Così non era prima del 2014».

All’inizio, dopo la lettera di richiesta del prestito avanzata il 4 marzo 2019 dalla Segreteria di Stato, i principali temi di valutazione erano l’entità (mai in precedenza lo Ior aveva erogato un finanziamento di quella portata), le possibili conseguenze a livello normativo per l’Istituto e il ruolo che doveva avere l’Aif, l’autorità di vigilanza. Non ultimo il fatto che «non appena il nuovo consiglio si era insediato, nel luglio 2014, la prima decisione fu che lo Ior interrompesse qualsiasi attività di prestito. La situazione dell’Istituto ci imponeva di dedicarci ad altre attività». Il presidente ha chiarito che «lo Ior non è una banca, emettere prestiti avrebbe determinato problemi per il monitoraggio, sarebbe stato necessario cambiare la ragione legale dell’Istituto». E se su questo la posizione del board «fu sempre molto netta», in realtà l’Aif diede pareri anche favorevoli alla concessione, non senza mostrare «una certa incoerenza».

L’obiettivo di ridurre il costo di un altro finanziamento

La Segreteria di Stato voleva il prestito perché il costo del mutuo in atto era molto alto, con una tasso del 10-12%, si doveva estinguerlo con un altro a condizioni più favorevoli. «Ma la nostra preoccupazione principale era evitare di incorrere in riciclaggio di denaro - ha affermato De Franssu -. E all’inizio l’Aif aveva rassicurato: “nessuna preoccupazione, voi siete protetti”. Man mano che la situazione evolveva, il tono però cambiava: “Voi avete comunque la responsabilità di tutelare l’Istituto e la regolarità della transazione”».

In sostanza - sostiene - in una lettera l’Aif autorizzava l’Istituto a procedere col finanziamento, non senza condurre prima, però, tutte le verifiche necessarie. Il presidente dello Ior ha anche detto di aver saputo solo nel settembre 2019 che il presidente dell’Aif, René Brülhart, imputato nel processo, aveva anche un ruolo di consulente per la Segreteria di Stato. «Ebbi la sensazione che la nostra fiducia era stata tradita - ha osservato sul possibile conflitto d’interessi -. Quindi il nostro atteggiamento è cambiato». E anche il fatto che il direttore dell’epoca dell’Aif e co-imputato, Tommaso Di Ruzza, aveva predisposto la lettera della Segreteria di Stato per la richiesta di finanziamento «ha contribuito a rafforzare la nostra sensazione che fossimo stati traditi».

«La Segreteria di Stato ci dette degli imcompetenti»

È stato comunque nell’incontro convocato da Parolin in Segreteria di Stato il 25 luglio 2019, dopo che il board dello Ior il 9 luglio aveva già deciso all’unanimità, sulla base del Report dell’Ufficio Compliance, di non concedere il prestito, che si venne proprio ai ferri corti. De Franssu e Mammì vi parteciparono per chiedere nuovamente la documentazione ancora mancante e valutare se ci potessero essere ulteriori vie. «Noi volevamo che la Segreteria di Stato fornisse allo Ior sufficienti elementi perché evitassimo la situazione di riciclaggio di denaro, ma non avemmo le rassicurazioni necessarie», ha detto De Franssu. Fu però all’inizio di quell’incontro che «il board dello Ior e io stesso fummo descritti dal sostituto mons. Edgar Pena Parra (che dovrebbe essere ascoltato nel procedimento, ndr) come incompetenti e le nostre richieste come irragionevoli». I rappresentanti dell’Aif, Brülhart e Di Ruzza, rimasero per tutto l’incontro in silenzio, poi al termine, ha ricordato sempre De Franssu, «all’uscita fui da loro preso da parte. “Perché sei così ostinato? Lo sai che se concedi il prestito noi ti proteggeremo”». Ma tra le motivazioni della decisione unanimemente negativa del board, nonostante le «pressioni» ricevute, anche il fatto che in una ricerca fatta su un database internazionale su illeciti finanziari è risultato comparissero sia Raffaele Mincione che Gianluigi Torzi, entrambi coinvolti nell’affare di Londra. E per lo Ior è stata in qualche modo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E anche per quanto riguarda la denuncia alla magistratura, ha concluso De Franssu, «ormai per lo Ior era giunto il momento in cui non c’era altra cosa da fare».


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