di Dario Ceccarelli
(REUTERS)
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Una cosa è sicura: c'è qualcosa che non va. Settimana difficile per l'Inter. Molto difficile. Dopo l'eliminazione infrasettimanale dalla Champions anche la domenica si chiude in tristezza con un pareggio (1-1) strappato con le unghie e coi denti (Sanchez al 93°) quando ormai i granata stavano pregustando una vittoria che sostanzialmente avrebbero meritato.
Meglio un pareggino di una sconfitta, certo, ma ora il Milan (63) allunga a più quattro. E quindi, se anche l'Inter (59) vincesse il famoso recupero col Bologna (quando si farà? Qualcuno ormai invoca l'intervento di Mattarella), i rossoneri resterebbero comunque al comando della classifica. Per un punto, certo. Ma è un punto che, anche psicologicamente, pesa come una montagna. Sia perchè il Napoli, rigenerato dalla trasferta di Verona (1-2), le strappa il secondo posto a quota 60, sia perchè più indietro la Juventus, come la muta dei cani con la volpe, la incalza sempre più da vicino. Ora la Juve é quarta a solo due lunghezze dall'Inter. Vero che ai nerazzurri manca sempre una partita, ma se nel recupero giocassero come hanno fatto col Torino, rischierebbero lo schianto anche col Bologna. Si vedrà, certo.
Ma intanto da Torino la squadra di Inzaghi torna a Milano con la testa piena di cattivi pensieri. Non ultimo che, se ha salvato la pelle, deve anche ringraziare l'arbitro Guida che al 36' del primo tempo, quando il Torino era in vantaggio per un gol di Bremer, non ha punito col rigore un evidente fallo di Ranocchia su Belotti. Un errore clamoroso, ampiamente rivisto da tutti al replay, che per un altro cortocircuito quasi inspiegabile non è stato corretto dal Var. Al monitor c'era il signor Massa che però, pur parlando con Guida, non ha segnalato il palese errore al collega. Un dialogo tra sordi e ciechi, verrebbe da dire. Con conseguente scorno dei granata che, nel dopo partita, hanno vivacemente protestato per il grossolano errore. La domanda che tutti si fanno è naturalmente la solita che ci poniamo da qualche anno. Ma a cosa serve il Var se non interviene quando l'arbitro in campo prende una simile cantonata?
E l'arbitro stesso, visto che non è Dio in Terra, non sarebbe il caso che, con un pizzico di umiltà, chiedesse di poter rivedere l'episodio in modo da decidere con maggiore lucidità? Domande che non trovano risposta. Qualcuno dice che c'è un regolamento. Anzi che c'è un protocollo. Bene, se non funziona allora cambiamolo, questo protocollo. Ma siamo pur sempre in Italia, quindi come per la manutenzione delle autostrade liguri, ci vorranno almeno cinque anni.
Tornando all'Inter, qualcosa davvero non va. Suona un allarme. Al di là della bravura dei granata nell'aggredire, e dell'assenza a centrocampo di Brozovic (malamente sostituito da Vecino), i nerazzurri hanno proprio giocato male. E pur arrivando vicino al gol (da matita rossa due clamorose occasioni sprecate da Dzeko), hanno sempre subito l'iniziativa del Torino. Unica motivo di consolazione, la rabbiosa ostinazione nel cercare il pareggio. Un buon segnale per dire che non tutto è perduto.
E il Milan intanto non rallenta. Riesce anzi a compiere, battendo di misura l'Empoli, una impresa quasi eccezionale. E cioè essere grande con una piccola. La squadra di Pioli, pur capolista, teme infatti queste partite come la peste. Preferirebbe ogni domenica vedersela con l'Inter o la Juventus, che incrociare queste provinciali poco rispettose. Con le quali, forse per eccesso di sicurezza, spesso butta via punti preziosi. Un Milan “radical chic” che però con l'Empoli ha superato questa sua strana anomalia vincendo come fa di solito la Juventus, cioè capitalizzando al massimo le occasioni. Un tiro, un gol. E via tutti a casa. Un gol segnalato non da un attaccante ma uno stopper, da quel Pierre Kalulu, 21 anni, che è un po' il simbolo di questo giovane Milan che butta il cuore oltre l'ostacolo. Fino a pochi mesi fa, il ragazzo, francese di origine congolese, stava tra le riserve. La prima squadra era un solo un bel sogno. Ora invece è molto cresciuto dimostrando già a Napoli di essere un punto di forza della difesa. Una vittoria risicata, quella del Milan coi toscani, ma che segnala questa sua nuova maturità: quella di arrivare al sodo quando bisogna far punti. Senza l'ossessione di stravincere.
I tifosi rossoneri ora incrociano le dita sperando che questa conversione sulla via del titolo sia definiva: le prossime 4 partite sono tutte con squadre non irresistibili (Cagliari, Bologna, Torino, Genoa). Ecco allora il compito che avrà Pioli: convincere la sua banda che può suonare il rock con chiunque. Fare insomma la capolista: che non snobba nessuno, ma punta dritto alla meta.
Anche il Napoli, dopo la scivolata col Milan, è riuscito subito a tirarsi fuori dal pantano passando a Verona, grazie a una doppietta dell'onnipresente Osimhen, bomber di garanzia quando è ben servito. Con il Milan gli era andata male, proprio per carenza di assist: a Verona invece, grazie a una verticalità nell'azione che sembrava sparita, i partenopei hanno messo Osimhen nelle migliori condizioni per chiudere il match. Spalletti alla vigilia aveva di nuovo catechizzato i suoi dicendo che “una sconfitta poteva essere fatale”. Ma Verona, di solito, è “fatale” solo per il Milan...
A Proposito di scie favorevoli: al quarto posto, la Juventus prosegue la sua risalita verso la luce. Questa volta vincendo (1-3) con la Sampdoria a Genova. E' il suo 15°risultato utile di fila. E ottenuto con Vlahovic in panchina, Qualcuno dirà: ma allora questa Juve è finalmente tornata a far paura. Mah… Diciamo che Madama comincia a farsi sentire ai piani alti. La Signora è sempre la Signora. Comunque anche il successo con la Samp è un piccolo capolavoro del basso profilo allegriano con tre gol tutti un po' così. Uno è un autogol di Yoshida sul solito cross di Cuadrado. Il secondo viene da una punizione di Sabiri deviata in rete da Morata. E il terzo è dello stesso Morata che, su angolo, anticipa tutti di testa. Nulla di male. Si vince anche così. Senza un solo tiro in porta su azione. E' solo fortuna, dicono i maligni. No, c'è del metodo, replicano i gobbi più irriducibili. Allegri, che non ha certo bisogno di avvocati, delle critiche se ne frega. Non vi piace il nostro gioco? Si, ma intanto rende, E lassù, ride il conte Max, qualcuno se la fa sotto.
Non meriterebbe neppure una riga perchè ciò che vogliono gli ultrà è proprio la visibilità. Ma ci tocca per dovere di cronaca. Sabato notte all'Interno dello stadio veronese è apparso uno striscione (con la bandiera russa e ucraina) che incitava a bombardare Napoli. Che dire? Nulla. E' un episodio talmente indecente che si commenta da solo. Purtroppo, insieme al razzismo, questi episodi sono uno dei lati oscuri del calcio. E degli stadi. Che spesso fanno da megafono a chi non sa neppure distinguere un gioco di 90 minuti da un massacro infinito.
Questa domenica lo sloveno Tadej Pogacar, 23 anni, ha vinto la Tirreno-Adriatico dopo averla dominata nelle due tappe più impegnative. Pur avendo uno faccia da ragazzino, e un candore disarmante, è ormai il numero uno del ciclismo mondiale. Vince con una tale facilità che ricorda il terribile Eddy Merckx, detto il “cannibale” perchè non lasciava agli avversari neppure le briciole. Ma Pogacar, che ha già vinto due Tour de France, e due classiche monumento, pur essendo un acchiappatutto, pedala in allegria come se per lui, ogni corsa, anche la più dura, fosse come una gita con gli amici. Dove andrà questo giovane fenomeno non si sa. Di sicuro a Sanremo dove sabato prossima rischia di vincere anche la classica di primavera. Qualcuno gli suggerisce di risparmiare le forze, di gestirsi con più oculatezza. Lui non capisce e ride come Giamburrasca. Che non era un corridore, ma un ragazzino impertinente.
Dario Ceccarelli
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