di Francesco Molica*
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L’ottava relazione sulla coesione pubblicata dalla Commissione Europea restituisce un quadro molto articolato, in cui convivono diseguaglianze territoriali ora antiche ora emergenti, talvolta “di ritorno”. Da un lato, il cortocircuito del processo di convergenza regionale innescato dalla crisi economica del 2008 assume ormai contorni cronici in larghe porzioni dell'Europa occidentale, specialmente nel quadrante mediterraneo: con il cristalizzarsi di trappole di sviluppo perfino in regioni un tempo locomotive o l'approfondirsi del divario tra aree metropolitane e zone rurali o periferiche. Dall'altro si affacciano fenomeni che incideranno in maniera crescente sulle disparità inter e infra-regionali: i cambiamenti climatici, la transizione verde e digitale, le trasformazioni tecnologiche, quelle demografiche. Sullo sfondo si staglia l'onda lunga della pandemia.
La domanda è se l'azione dell'Ue sarà all'altezza di queste sfide così complesse, tenendo presente che i Trattati individuano nella coesione economica, sociale e territoriale uno dei suoi obiettivi fondanti. In questo senso, la Commissione offre nella relazione alcuni spunti interessanti che danno idealmente avvio alla riflessione sul futuro della politica europea di coesione e dei suoi fondi. Potrebbe sembrare un esercizio prematuro visto che siamo all'inizio di un nuovo periodo di programmazione e le proposte regolamentari per la prossima generazione di fondi comunitari non saranno presentate prima del 2025. Non lo è affatto guardando ad alcune criticità dalle implicazioni di lungo periodo che cominciano ad affiorare: i ritardi senza precedenti nell'avvio dei programmi operativi, il moltiplicarsi degli strumenti, l'assenza di un quadro strategico unitario, il difficile coordinamento tra PNRR e altri fondi europei gestiti dagli stati membri.
Quest'ultimo punto è forse il più decisivo. A Bruxelles si dibatte apertamente dell'ipotesi di rendere permanente il Dispositivo di ripresa e resilienza (la gamba principale del Next Generation EU) o di estendere il suo modello di governance e funzionamento ad altri programmi di finanziamento comunitari. Ma entrambi questi scenari potrebbero determinare un indebolimento della politica di coesione fino al rischio di un suo snaturamento. Riguardo il primo, la coesistenza di PNRR e programmi di coesione appare problematica sul lungo periodo per diverse ragioni: forti affinità tematiche e possibile concorrenza tra i due strumenti, difficoltà a coordinarli per via delle differenze di struttura e funzionamento, insufficiente capacità istituzionale delle amministrazioni con ricadute sull'assorbimento delle risorse. Da un punto di vista finanziario, l'Ue potrà difficilmente giustificare la prosecuzione in futuro di due politiche di investimento parallele con una dotazione finanziaria cosi' ampia.
Il rischio è dunque un ridimensionamento della politica di coesione per fare spazio a un Next Generation EU 2.0 che come il suo predecessore non trova nella riduzione dei divari territoriali la sua principale priorità e raison d’être. Venendo alla seconda ipotesi, riplasmare la politica di coesione a immagine dei PNRR, sia pure in minima parte, rischia di diluirne le sue caratteristiche specifiche, a partire dal forte ancoraggio territoriale e dalla governance decentrata. La relazione sulla coesione riconosce più o meno implicitamente questi rischi. Non solo accenna alla difficoltà di garantire che i PNRR contribuiscano “in maniera sistematica” agli obiettivi della coesione territoriale. Non solo si percepisce tra le righe la preoccupazione che alcuni PNRR accrescano piuttosto che mitigare le disparità regionali (leggi la proposta di una clausola “non nuocere alla coesione”).
Allo stesso tempo, la relazione sottolinea come per intervenire su una mappa di divari sempre più complessa occorra rafforzare alcuni profili peculiari alla politica di coesione: da un lato la partecipazione dei livelli decentrati di governo, così come delle parti sociali ed economiche e della società civile, all'attuazione dei fondi; dall'altro l'approccio “place based” con risposte sempre più mirate soprattutto per le regioni che continuano a restare indietro. Ciò, nota la Commissione, ha anche un ruolo essenziale per frenare i fenomeni di disaffezione e rigetto delle istituzioni che caratterizzano la geografia del discontento. Siamo su un terreno lontano dal modello per costituzione centralizzato e poco “orientato ai luoghi”, fatto proprio dai PNRR. Il rapporto ha il compito improbo di riportare le diseguaglianze al centro dell'agenda europea. Non è troppo presto per discutere degli strumenti del futuro.
* Francesco Molica è direttore per la politica regionale della Conferenza delle regioni periferiche marittime Ue
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