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Le tante non decisioni che tengono in ostaggio la politica industriale

di Maurizio Marchesini e Michele Tronconi

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(Rawpixel.com - stock.adobe.com)

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Cosa sta avvenendo nelle nostre filiere produttive? Un primo punto è stato fatto tra dicembre e lo scorso gennaio

2 giugno 2022
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3' di lettura

Cosa sta avvenendo nelle nostre filiere produttive? Un primo punto è stato fatto tra dicembre e lo scorso gennaio. Volevamo capire se ci fossero delle strategie ricorrenti adottate dalle imprese italiane, pur nella diversità delle merceologie e dei ruoli ricoperti all’interno delle supply chain, per rispondere alle condizioni competitive post pandemiche. Si pensi alla corsa per la ricostituzione delle scorte, alla gestione dei colli di bottiglia, alla conseguente dilatazione dei tempi di consegna, al primo aumento delle utilities energetiche e all’effetto sui costi dei trasporti. Per leggere le trasformazioni in atto non potevamo attendere le rilevazioni statistiche, pertanto ci siamo avvalsi di una metodologia qualitativa, quella dei focus group. Il nostro Centro studi ha svolto un’indagine su dodici componenti del Gruppo tecnico sulle filiere e le medie imprese, l’organo di Confindustria che elabora e definisce le strategie di politica industriale. Il risultato è stato tradotto in un primo documento di sintesi, elaborato proprio mentre sopraggiungeva la nuova emergenza innescata dal conflitto russo/ucraino, che sta definendo nuovi equilibri nella globalizzazione. Potremmo pensare che si stia aprendo un nuovo libro, invece è solo un’altra pagina di un capitolo già iniziato prima della pandemia. I prodromi risalgono infatti alla Grande recessione (2007-2013), ma lo spartiacque più evidente c’è stato con l’introduzione di dazi elevati da parte di Donald Trump contro il sorpasso cinese (2018). La guerra commerciale è iniziata ben prima di quella con le armi e potrebbe durare più a lungo.

Da questi eventi hanno preso l’avvio i discorsi sul reshoring, mentre la cosiddetta fabbrica del mondo vedeva salire il proprio costo del lavoro, sempre più orientato a produzioni con maggior valore aggiunto e destinate alla crescita del mercato interno cinese. In fondo il Covid-19 non ha fatto altro che amplificare criticità che erano già presenti, mettendo a nudo le nostre fragilità e la nostra incapacità di produrre semplici mascherine, microchip, o pannelli fotovoltaici. A maggior ragione, abbiamo ripreso a dare importanza alle fasi produttive, spesso a monte delle nostre filiere, nel nome delle economie di prossimità. Ma non si tratta di un semplice ritorno al passato, perché anche quando si tratta della stessa tipologia di prodotto, o servizio, tutto il resto è drasticamente cambiato: il che cosa è personalizzato, il come è digitalizzato e sostenibile. Se la pandemia è stata una lente di ingrandimento su una trasformazione già avviata, ora il conflitto sta amplificandone la necessità: abbiamo bisogno di produrre di più, ma abbiamo sempre meno popolazione attiva con le qualifiche adatte con cui farvi fronte.

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Quindi abbiamo una questione di risorse, anche finanziarie, per proseguire negli investimenti che ci aprono al futuro. Inoltre, continuiamo a scontare il peso di una burocrazia asfissiante che pone vincoli e freni all’attività d’impresa. Purtroppo, siamo ancora il Paese dei lacci e lacciuoli mentre dovremmo poter correre, per non rimanere schiacciati dagli eventi. Sono i tanti, troppi, No che ci presentano il conto: No alle trivelle, No ai rigassificatori, No ai termovalorizzatori, sono la causa della nostra eccessiva dipendenza dall’estero, a partire dal gas russo, perché deve essere chiaro che non decidere significa non fare e quindi dipendere da qualcun altro. Se vogliamo difendere la nostra libertà dobbiamo tornare a crescere, producendo ben più di quanto già facciamo, con successo. Ricordando che parliamo di produzioni evolute, più taylorizzate, digitalizzate, sostenibili, lungo filiere articolate. Questo è ben chiaro alle nostre imprese che infatti hanno iniziato a serrare i ranghi, rendendo più fluidi e reciprocamente convenienti i rapporti di filiera, anche con gli attuali costi alle stelle e la necessità di aggiornare i listini. Probabilmente è giunta l’ora di dare impulso a rapporti di partecipazione azionaria tra le componenti della filiera, anche favorendo gli investimenti necessari e accrescendo così la dimensione media delle nostre imprese. La voglia di fare degli imprenditori, però, deve essere accompagnata da una corretta azione da parte del decisore pubblico che dovrebbe intervenire sul costo delle utilities energetiche e dotare il suolo nazionale di infrastrutture idonee. Proprio quelle che non abbiamo voluto fare e che ora dovremo costruire in fretta, anche per adempiere agli impegni sottoscritti nel Pnrr. Non si può fare politica industriale senza istituzioni capaci di guardare lontano e di decidere in modo tempestivo e competente.

Vice Presidente Confindustria per le Filiere e le Medie imprese - Past president di Sistema Moda Italia

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