di Francesco Prisco
Giampiero Galeazzi è morto a 75 anni (Ansa)
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È stato un atleta prima che un professionista, un grande appassionato di sport prima che un giornalista sportivo, un meme prima che inventassero i meme: era e rimarrà un’icona pop a tutto tondo Giampiero Galeazzi, volto e voce storica della Rai morto a 75 anni d’età dopo una lunga malattia. Meravigliosa faccia da cinema, la sua: lo chiamavano Bisteccone. E lui lo rivendicava con orgoglio quel soprannome affibbiatogli da Gilberto Evangelisti che lo assunse alla Tv di Stato. Da canottiere sfiorò un’Olimpiade, da giornalista ne ha raccontate sei, tutte senza mai prendersi sul serio.
Questa era la sua cifra: lo percepivi quando, alle ultime bracciate del «due con», incitava i fratelli Abbagnale a prendersi il podio, quando violava gli spogliatoi di Serie A in festa per lo scudetto fino a farsi inondare di spumante da gente come Diego Armando Maradona. Non c’erano confini a quel suo essere gradevolmente sopra le righe: gli concedevi tutto perché era l’ospite ideale da invitare a cena. Uno che onora la tavola e arricchisce il discorso con aneddoti che possono andare da Monaco ’72 a Reagan che dà la mano a Gorbaciov a Reykjavík nel 1986 e chiude il capitolo della Guerra Fredda. C’era andato per seguire la Juventus in una trasferta internazionale, si ritrovò a raccontare la storia.
Romano di origini novaresi, era figlio di Enrico Galeazzi, campione europeo di canottaggio 1932 nel «due senza». Da figlio d’arte, lo sport è la sua prima strada: complice la mole, a 21 anni si laurea campione italiano di canottaggio singolo e nel doppio in tandem con Giuliano Spingardi. Manca di poco le qualificazioni per Città del Messico 1968 ma intanto si laurea in Economia con una tesi in statistica. Fa pure un passaggio nell’ufficio marketing della Fiat, ma dura poco. Ancora canottiere, la Rai lo ingaggia per seguire da inviato radiofonico le Olimpiadi di Monaco ’72. Sostituisce Mirko Petternella, rimasto fatalmente bloccato nell’impianto di scherma, e fa subito vedere competenza e passione per quello sport di fatica che è la sua vita.
Per diventare Galeazzi, però, Galeazzi deve aspettare la Tv: è il 1976 e al Tg1 approda come direttore Emilio Rossi. Per lo sport, Rossi ascolta il consiglio di Tito Stagno e recluta questo giovanotto dalla battuta sempre pronta: sul piccolo schermo Giampiero «buca» immediatamente e si ritrova alla Domenica Sportiva condotta da Paolo Frajese e a Mercoledì Sport. Tanto tennis, ma pure pallone. Da inviato della Domenica Sportiva, con quei servizi giocati più sul «colore» che sui dettagli tecnici, negli anni Ottanta inventa un vero e proprio genere del quale è il massimo esponente: lo sport diventa un pezzo di costume, l’intervistato complice di un racconto emozionale, quando si presta. E, con Galeazzi accanto, si prestano tutti: da Rummenigge all’avvocato Agnelli, cui Bisteccone tende puntualmente agguati nei sottopassaggi dello stadio.
A un personaggio così lo sport non può che stare stretto e allora eccotelo imbarcato da Pippo Baudo nel cast di Sanremo 1996 o a dare la voce a Mr. Swackhammer nel primo Space Jam. Tifoso della Lazio, viene ricordato con affetto da tutto l’arco costituzionale del calcio italiano, quel mondo autoreferenziale abituato a vedere nella faziosità del giornalista sportivo il principale problema del Pianeta Terra. Con Galeazzi non era possibile perché non solo era bravo a raccontare in maniera originale e scanzonata quella giostra: ne era parte. «Nel canottaggio bisogna essere un po’ ballerine e un po’ boscaioli», disse in una sua memorabile telecronaca. Giusto: vale nel canottaggio e anche nella vita, aggiungiamo. noi.
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