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Dai graffiti al design: Felipe Pantone e i suoi 110 pezzi da collezione

di Cristina D'Antonio

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Poltrona Frau. Archibald, la poltrona che viene svelata solo oggi.

Poltrona Frau. Archibald, la poltrona che viene svelata solo oggi.

Il progetto era top secret e sul giornale vi abbiamo raccontato il making of. Oggi sveliamo l’oggetto design che l’artista argentino ha reso un’opera d’arte in edizione limitata.

1 aprile 2022
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5' di lettura

Se siamo davvero ciò che facciamo, ripetutamente, alla maniera in cui Aristotele vedeva l'esprimersi di un'eccellenza, allora Felipe Pantone somiglia molto all'equazione delle sue illusioni ottiche. Esiste, ma non ha connotati certi. Usava la vernice, ha abbracciato l'effetto moiré. Conosceva solo il bianco e nero, è diventato il profeta del gradiente. Afferma verità come «il colore prende vita grazie alla luce, e la luce è l'unica ragione per cui la vita prende forma». Cadillac, Pant1, Pantone: di nome in nome, l'artista è cresciuto. A 12 anni usciva di casa a Torrevieja, città della provincia di Alicante, con tre bombolette spray e il cappuccio della felpa alzato. Oggi ha 35 anni, uno studio a Valencia con 11 collaboratori, due mostre in arrivo – una in aprile, a New York, e la seconda a giugno, a Tokyo – ed è cercato da brand importanti per la sua originale visione della realtà.

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L’artista argentino-spagnolo Felipe Pantone, 35 anni, al lavoro sul progetto in serie limitata di Poltrona Frau.

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Il nuovo progetto riguarda l'interior design ed è una poltrona che celebra i 100+10 anni di una storica azienda italiana: Poltrona Frau. Impattante e forte sono gli aggettivi che Pantone usa per descrivere il progetto: il prototipo da cui è partito ha trovato il proprio spazio a destra del tavolo di lavoro; è, per forma e destinazione naturale, il posto in cui oggi si ferma a leggere. «Ho già disegnato lampade e seggiole, ma solo per curiosità mia, nulla da destinarsi a una produzione. Perciò tengo moltissimo a questa collaborazione così nuova per me». Poltrona Frau, l'azienda di Tolentino che dal 2021 è “marchio storico di interesse nazionale” ha scelto l'artista per dare inizio alle celebrazioni del suo anniversario proprio ad aprile. Si tratta di una limited edition, realizzata in 110 pezzi e rivestita con la nuova Pelle Frau® Impact Less, conciata con componenti naturali e senza l'utilizzo di cromo. Un progetto sostenibile e, nello stesso tempo, la sperimentazione di un linguaggio completamente nuovo che aggiunge un valore artistico a un pezzo che è già un'icona per il design: la poltrona Archibald.

Argentino di nascita, emigrato con i genitori in Spagna, convertito ai graffiti perché era il gioco di quelli della sua età, diplomato all'Accademia e poi di stanza a Leeds per un anno, dove approfondisce quello che chiama il black&whitism, Pantone riassume i suoi primi vent'anni da urban artist in poche frasi: «Qualcuno mi ha notato e sono arrivati i primi inviti ai festival». All'inizio in Europa, poi nel mondo: «Viaggiavo, e più mi muovevo, più crescevano le opportunità. Con quelle, anche i piani degli edifici su cui dipingevo: a un certo punto, l'effetto finale trascendeva dal formato originale dei graffiti».

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C'è per tutti un momento in cui bisogna passare oltre: per Felipe Pantone ha significato abbandonare tag e lettering e mantenere il succo di uno stile che lo rende riconoscibile fra mille. «Dovessi descrivere il me stesso di allora, direi che era un ragazzo sparpagliato, ovunque e in nessun luogo: in assenza di una rete di protezione certa, si è più portati a infischiarsene e a rischiare. Il Felipe di oggi ha invece una base solida: a certe condizioni non è facile mettere tutto in discussione e scegliere l'azzardo. Ma voglio credere di essere ancora disposto a espormi, a cambiare e, quindi, a evolvermi». Non ci va più, a dipingere di notte. L'ha fatto un paio di volte, l'anno scorso, per seguire gli amici. Bello, ma gli atti illegali, come li definisce, non gli interessano più. Non è quel genere di carica adrenalinica che gli serve: «Certe sensazioni, adesso, le provo nel mio studio».

Cresciuto in un mondo di mezzo, intergenerazionale, tra un passato analogico di cassette e cd e la promessa di una nuova estetica dettata da internet, Pantone ha fatto le sue scelte. Parlando di lui si cita l'arte cinetica. La forza optical delle sue visioni. E l'ipnosi che deriva dal gradiente di colore, la progressione di tonalità cromatiche simili tra loro, che si susseguono in modo progressivo e lineare. Disegna a mano, su carta. Ma anche con Adobe Illustrator. Poi utilizza software di modellazione 3D, che trasformano i suoi progetti in murales, dipinti e sculture prismatici: la versione tangibile delle idee che nascono nel mondo digitale, e che da quello prendono le griglie e gli eventuali bug. Perciò si è convertito definitivamente alle linee geometriche: «Le forme rotonde vanno bene per descrivere la storia dell'umanità fino all'avvento dei computer. Poi, per coerenza, bisogna cambiare segno».

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Modellino della collaborazione fra Felipe Pantone e Poltrona Frau

Per realizzare i suoi pezzi, ha bisogno di menti avvezze alla meccanica. Qualche volta all'ingegneria. «È l'unico modo che ho per crescere, e se questo significa affidarmi ad altre professionalità – gente che sappia quali sono i materiali giusti, come montarli, verniciarli, spedirli – va bene. Il lavoro manuale lo lascio volentieri agli altri. L'unico aspetto su cui non transigo è il ruolo primario: a chi spetta creare, e cosa; tocca a me, e su quello non voglio interferenze». Nell'immaginario collettivo, quello che precede l'avvento di Super Mario e dei pixel, l'atto artistico conteneva in sé qualcosa di incontrollabile, di selvaggio. «Non credo che la creatività debba avere in sé il seme di una qualche follia. Io mi concentro molto sulla pratica: faccio ricerca, studio». Dinamismo, trasformazione e velocità: tre concetti che usa spesso nel suo Tumblr, perché li applica ai suoi progetti.

Anche in quest'ultimo con Poltrona Frau. «La differenza che c'è tra una committenza e l'arte spontanea? La prima ha uno scopo, la seconda è fine a se stessa. Ma qualunque sia l'oggetto su cui sono chiamato ad esprimermi diventa una tela, il mezzo per diffondere la mia visione, il mio universo». E che la destinazione finale sia indoor o outdoor, poco importa: «La street art mi ha insegnato a essere flessibile e ad adattare le mie opere. Ho imparato a convertire i concetti in taglie diverse: è divertente, ed è sempre una sfida». La parte più importante del processo «è che il risultato sia dirompente». È un aggettivo che gli piace molto, che usa per indicare la volontà di non assomigliare a nulla di precedente. «Se il tuo mezzo di espressione sono i graffiti, non hai scelta: sei in competizione per farti notare, per essere più interessante della pubblicità lì a fianco, o degli altri writer. “Hey, sono qui!”, strilli con i tuoi colori. Ma anche quando ti impegni nel progetto di una capsule collection come questa sai di dover arrivare a un risultato di qualità, esteticamente bello, ma che sappia anche rompere con la continuità, con il passato. Un punto e a capo, con in pancia i valori che fanno di me ciò che sono».

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Su Instagram.

Dopo aver sperimentato la realtà virtuale e quella aumentata, Felipe Pantone è andato oltre: «Diciamo che ci ho provato per un certo periodo, e che adesso mi dedico ad altro». Per esempio, a riconsiderare lo spazio intorno a sé. «Mi piacciono il bianco, il vuoto e le opere d'arte. Quelle appese alle pareti determinano la qualità dell'ambiente: in base a quello cambio spesso posizione agli oggetti e ai mobili che possiedo; poche cose, che siano in sintonia con la mia personalità». Chissà quali opere d'arte vedrebbe bene abbinate alla “sua” Archibald di cui firma (in 110 esemplari) il coloratissimo rivestimento in pelle stampata a basso impatto ambientale. «Sono nato in una fase di passaggio, in un'epoca in cui le macchine sono state capaci di imprese pazzesche. Mi piace il momento presente: lo trovo estremamente eccitante. E pazienza se tra cent'anni la gente penserà che quello che faccio sia superato. Dopotutto, chi era qui cent'anni fa mi vedrebbe come un Nostradamus un po' fuori di testa. Quel che conta è sapere dove sono adesso, e giuro che sto facendo di tutto per non uscire fuori tempo».

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