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Eleggere il Presidente, le scelte di un collegio perfetto e la politica

di Giovanna De Minico

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(ANSA)

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25 gennaio 2022
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3' di lettura

Si può discutere sulle candidature alla Presidenza della Repubblica? Qualche problema giuridico, qualche osservazione politica.

Quanto ai primi, esporrò gli argomenti a sostegno della tesi affermata. Ammettere che il Parlamento in seduta comune discuta sul candidato idoneo alla più alta carica dello Stato, risolve l'alternativa sulla sua identità, mero collegio elettorale o organo costituzionale, a favore del secondo. Dunque, al pari di ogni collegio perfetto, dibatte prima di decidere, e in questo caso la decisione è un'elezione.

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La dottrina da tempo gli ha riconosciuto la natura di collegio perfetto, anche se il pensiero si è arrestato per strada: collegio sì perfetto, ma incompetente a prendere la parola in nome della futura indipendenza dell'eletto. Vedremo poi se le ragioni dell'indipendenza siano spendibili a vantaggio della tesi opposta.

Ritorniamo agli argomenti a favore. Concorre in questa direzione l'art. 64 Cost., norma dispositiva abilitante il Parlamento in seduta comune ad avere un proprio regolamento diverso da quella della Camera dei Deputati; ma per disporne dovrà prima discutere sul se e solo dopo potrà approvarlo. Inoltre, è la stessa norma a contemplare che il Parlamento possa scegliere la seduta segreta, anche qui è sostenibile il medesimo ragionamento di prima: si vota per il segreto se si sono prima discusse le ragioni che lo giustificano. Infine, è previsto un quorum deliberativo pari alla maggioranza semplice. La regola non avrebbe ragion d’essere, visto che per disposto costituzionale l’Assemblea dovrà decidere a maggioranza qualificata. La norma invece recupera un suo ambito di operatività nel rimandare a situazioni in cui il collegio discute e decidere con i voti della metà più uno dei presenti: si tratta di situazioni collegate, strumentali, prodromiche all'elezione, non identificabili in essa.

Chi ammette la legittimità della discussione, deve essere pronto ad affrontare ulteriori questioni: chi presenta le candidature e quale è la materia del futuro dialogo? I partiti potrebbero essere i soggetti naturalmente legittimati a presentare i concorrenti alla più alta competizione; l'oggetto del discutere invece dovrà riguardare, non il merito politico della candidatura, ma la sua idoneità funzionale a sintetizzare il pluralismo politico nel modo più inclusivo possibile. Dunque, non si elogerà, né si criticherà il progetto politico dell'aspirante presidente, perché nessun progetto sarà presentato a vietarlo è implicitamente il dettato costituzionale. La discussione verterà invece sulle sue comprovate capacità di persona in grado di comporre con equilibrio la dialettica politica affinché ogni partito trovi in lui una parte di sé.

Ora le ragioni politiche a sostegno della tesi. Un’unica preposizione: se non è il Parlamento a discutere pubblicamente, altri lo faranno per lui, ma in una modalità tutt’altro che democratica, perché segreta.

Aver restituito al Parlamento il compito proprio di un collegio politicamente consapevole avrà anche il merito di tacitare le proposte di elezione diretta del Presidente, arginandone le derive plebiscitarie. Promuovere il Parlamento a sede privilegiata, naturale e concorrente nella discussione pubblica sul candidato incontra la domanda dei cittadini a essere più presenti ai processi decisionali, almeno ai momenti conoscitivi.

Non stiamo dicendo di udire i candidati, né tantomeno di dibattere suoi loro programmi, passaggi questi, incompatibili con il pouvoir neutre, status del fututo presidente. Qui invece rivendichiamo la natura pubblica della discussione sul candidato potenzialmente capace a rappresentare l'unità politica dello Stato. Tale discussione già esiste, solo che si svolge nel segreto delle stanze. Un fiume carsico, che scorre sotterraneo, va avanti, indietro, prende rivoli inaspettati, genera stupore nei cittadini; mentre dovrebbe correre anche alla luce del sole. Non i nomi decisi nelle ville dei potenti o durante le cene senza soluzione di continuità; è come assistere all’estrazione del coniglio dal cappello del mago Silvan.

Credo che la somma carica dello stato meriti un rispetto maggiore di quello che le riserva il negoziato carbonaro. Solo la trasparenza del dire e del contraddire, la visibilità di accordi e intese almeno in parte siglati nell’Aula Parlamentare può restituirgli la dignità necessaria ai compiti di equilibrio e suprema vigilanza che la Costituzione gli assegna.

In conclusione mi chiedo se sia più indipendente un Presidente che conosca chi lo ha votato e su quali intese o uno votato su accordi a lui fintamente ignoti e segreti al pubblico?

Giovanna De Minico, prof.ssa costituzionale Federico II Napoli

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