di Daniele Marini*
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Il nostro paese, ancora in fase pre-Covid, ha attraversato una lunga stagione di bassa crescita e, soprattutto, bassa produttività. Il 2021 da poco chiuso ha visto una risalita dell'economia dopo l'anno terribile della pandemia. Tuttavia, quello slancio – come testimoniato anche dall'ultima indagine congiunturale del Centro Studi di Confindustria – rischia di essere frenato non solo dai costi dell'energia, oltre che da una situazione pandemica ancora non domata, ma dalla mancata realizzazione di una serie di riforme capaci di ammodernare il funzionamento del sistema nel suo complesso e che oggi, grazie al PNRR, conta di poter attuare.
Dunque, l'Italia delle imprese deve fare i conti con due aspetti di una medesima medaglia. Da un lato, il grado di competitività del sistema paese e, dall'altro, la competitività delle stesse realtà produttive. Allora vale la pena ascoltare (Community Research&Analysis per Federmeccanica-Umana) quanto gli imprenditori esprimono su questi due versanti per cercare di attuare quelle misure necessarie alla ripartenza dell'economia e dell'Italia.
Per quanto attiene al sistema paese, com'era facilmente attendibile, gli imprenditori si concentrano soprattutto su due dimensioni, in modo pressoché analogo: la pressione fiscale ritenuta eccessiva (36,7%) e parimenti la burocrazia (34,1%). La bulimia di tasse e pratiche burocratiche è il fardello che le imprese auspicherebbero venisse alleggerito. Non che manchino altri problemi, come un mercato del lavoro ritenuto ancora troppo rigido (13,3%), piuttosto che un sistema formativo vissuto distante dalle esigenze del sistema produttivo (8,5%). Ciò non di meno, siamo purtroppo di fronte a una vexata quaestio che si è sedimentata nel tempo.
Focalizzando l'attenzione sul tema del mercato del lavoro, oggetto negli anni di riforme successive all'insegna di una ricerca di maggiore flessibilità, gli imprenditori indicano la priorità d'intervento sul tema fiscale. La diminuzione del cuneo fiscale sul lavoro raccoglie il consenso di un terzo dei rispondenti (34,0%). A distanza troviamo altri interventi che potremmo definire ancillari. Nell'ordine, migliorare il raccordo fra sistema produttivo e formativo (20,6%), un maggiore investimento sulle politiche attive (16,8%) e il dare più flessibilità in entrata alle imprese (14,9%), ovvero diminuire i vincoli che le diverse normative pongono all'assunzione.
In ogni caso, considerando la graduatoria delle due risposte più importanti, si può sostenere che la strategia ritenuta migliore per un mercato del lavoro al passo coi tempi ruoti attorno a due dimensioni prevalenti: una tassazione inferiore sul lavoro e un raccordo maggiore sul tema della formazione fra scuola e imprese.
A fianco della competitività del Paese, si pone anche quella dell'impresa. Qual è la strategia più adeguata che un'impresa dovrebbe adottare per rimanere competitiva sui mercati? Va da sé, che non esiste un unico percorso, se non altro perché le imprese sono molto diverse fra loro. Ognuna ricerca su di sé la soluzione più adeguata.
Le strategie che ottengono un relativo maggior consenso sono tre. Da un lato, l'investimento nel capitale umano (20,6%), dall'altro, puntare su una diversificazione dei prodotti o dei servizi offerti (20,0%) e dall'altro ancora, l'aumento della tecnologia impiegata (19,9%).
A queste indicazioni, seguono appaiate altre due prospettive. Innanzitutto, quella di differenziare i prodotti offerti allargandone la gamma (14,0%). In secondo luogo, troviamo la questione della riduzione dei costi di produzione (11,7%), che resta uno dei temi diffusi in modo trasversale nell'universo degli interpellati.
Il tema dell'apertura ai mercati esteri e dell'inserirsi in filiere internazionalizzate è una prospettiva poco esplorata dagli interpellati: solo il 9,0% la indica come una scelta vincente. Infine, al fondo della classifica viene un'altra strategia che attiene alla dimensione del commercio elettronico, che con la pandemia ha avuto una crescita significativa. Tuttavia, soltanto il 4,8% degli intervistati pone l'accento in modo prioritario su questa leva.
Al di là della strategia da adottare, quali sono i fattori su cui l'impresa può contare e che costituiscono un elemento vincente rispetto ai concorrenti? La graduatoria vede primeggiare, in misura eguale, tre fattori principali: la qualità dei prodotti e dei servizi offerti (91,6%), la professionalità dei lavoratori (87,6%), il servizio al cliente (85,1%). Simili esiti confermano quanto già osservato in materia di competitività del territorio, là dove il tema del capitale umano e professionale era valutato come un aspetto centrale. Alla qualità dei prodotti/servizi offerti aggiungono la dimensione del servizio al cliente, aspetto oggi ineludibile per un'impresa. Cioè quella parte immateriale della produzione che costituisce un elemento centrale, senza il quale la stessa percezione di qualità verrebbe intaccata.Sotto queste dimensioni, si collocano a una certa distanza, altri fattori ritenuti presenti nelle aziende, ma in modo meno diffuso: un'offerta tagliata su misura delle esigenze del cliente, il tailor made (79,8%) e il servizio post-vendita, l'assistenza al cliente (70,8%). Si tratta di due fattori cruciali per la possibilità di competere sui mercati, ma che vede coinvolti una platea maggioritaria, ma decisamente più ridotta fra gli interpellati.
Per individuare un'informazione di sintesi, abbiamo creato l'indice “competitività dell'impresa” sulla scorta delle valutazioni espresse dagli imprenditori. Si sono così determinati quattro livelli di competitività, così definiti:
- Scarso (16,8%), è il gruppo minoritario, benché non marginale, di imprese che si assegnano prevalentemente valori insufficienti.
- Sufficiente (25,9%), si tratta delle aziende che si attribuiscono valori di competitività intorno alla sufficienza.
- Medio (28,0%), sono le ditte che si assegnano valori significativamente positivi rispetto ai propri competitori.
- Alto (29,3%), in questo caso ritroviamo le imprese che ritengono avere fattori di competitività decisamente migliori dei propri concorrenti.
Dunque, complessivamente più della metà delle imprese (57,3%) ritiene di possedere un buon livello di competitività sul mercato e rispetto ai competitors. E quindi, immagina di poter navigare positivamente sul mercato. Se un altro quarto si posiziona in una condizione di sufficienza (25,9%), tuttavia non possiamo dimenticare che una parte minoritaria, ma decisamente non marginale (16,8%), si percepisce a rischio.
(*) Università di Padova
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