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Expo Roma 2030, la sfida comincia ora. La strategia dell’Italia per vincere la corsa

di Manuela Perrone

Il progetto di Expo Roma 2030

Conclusa la visita del segretario del Bureau International des Expositions. L’Italia ha dieci mesi per conquistare voti tra i 170 Paesi del Bie e provare a insidiare la concorrenza di Riyad

26 gennaio 2023
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5' di lettura

Al termine della “tre giorni” di visita nella Capitale del segretario generale del Bureau International des Expositions, Dimitri Kerkentzes, è stato l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente del comitato promotore di Expo Roma 2030, a ringraziarlo e a riassumere la partita: «La fase che si apre ora è di duro lavoro sia per la campagna elettorale che per la preparazione della prossima visita di aprile».

Gli ispettori del Bie attesi dal 17 al 21 aprile

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In primavera, precisamente dal 17 al 21 aprile, arriveranno a Roma gli ispettori del Bureau per valutare la fattibilità del progetto, alla luce del corposo dossier di candidatura che lo descrive e che stima un impatto economico dell’evento per l’Italia pari a 50,6 miliardi di euro, con investimenti per 5,8 miliardi (2,1 miliardi per l’inclusione, 3,4 per la sostenibilità, 313 milioni per l’innovazione), la nascita di 11mila imprese e la creazione di 300mila posti di lavoro. Sotto la lente finiranno soprattutto spazi e itinerari, a cominciare dall’area di Tor Vergata con le Vele di Calatrava, immaginate come il cardine del sito espositivo, collegato al centro e al foro romano attraverso un percorso che si snoda attraverso il parco dell’Appia Antica e il parco degli Acquedotti. «Luoghi da sogno», ha commentato Kerkentzes.

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Meloni: «Il nostro è un progetto pensato per restare»

Le istituzioni italiane sono convinte della bontà del progetto e della sua forza rispetto alle altre candidature: Busan in Corea del Sud, Odessa in Ucraina e Riyad in Arabia Saudita (la più agguerrita e la più temibile). Lo ha spiegato al segretario del Bie la stessa premier Giorgia Meloni il 25 gennaio, durante l’incontro a Palazzo Chigi con cui il segretario del Bie ha concluso il suo soggiorno romano, dopo aver visto i vicepremier e ministri Antonio Tajani (Esteri) e Matteo Salvini (Infrastrutture), Andrea Abodi (Sport), Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, oltre a rappresentanti delle imprese (in primis la Fondazione Expo Roma 2030, con Massimo Scaccabarozzi presidente e Lamberto Mancini direttore generale) e della società civile. «Roma - ha detto la presidente del Consiglio - sarà una location attrattiva per persone provenienti da tutto il mondo. Al centro dell’Esposizione ci saranno i temi della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico. La proposta di Roma non si limita ai sei mesi dell’Esposizione: è un progetto pensato per restare. I padiglioni rimarranno inoltre a disposizione degli Stati partecipanti anche dopo l’evento ed entreranno a far parte di un polo di formazione e ricerca scientifica».

Tajani: «Una Expo a beneficio della comunità internazionale»

Questo è il tratto di inclusività e legacy su cui il governo scommette. Lo ha esplicitato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dopo aver ricevuto Kerkentzes alla Farnesina: «La candidatura di Roma per Expo 2030 è una priorità nazionale: ospitare l’edizione 2030 nello stesso anno in cui celebriamo il centenario del Bie avrà anche un grande significato simbolico e rappresenterà un’occasione perfetta per la comunità internazionale per affrontare questioni come il cambiamento climatico, identificare soluzioni globali e sviluppare progetti condivisi. Questa non è una Expo a sostegno di una visione nazionale, una Expo per l’Italia, ma una Expo universale a beneficio dell'intera comunità internazionale».

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La fiducia del sindaco Gualtieri: «Roma è pronta a vincere»

L’Italia può rivendicarlo, grazie alla sua lunga tradizione di Paese impegnato per il progresso della comunità internazionale. Una tradizione - è il sottotesto - che Riyad, la rivale più agguerrita, non può vantare. Anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che il 24 gennaio in Campidoglio ha illustrato il progetto di candidatura al segretario Bie per poi accompagnarlo nel sopralluogo da Tor Vergata a Palazzo Rivaldi assieme all’architetto Carlo Ratti, ha insistito: «Per noi Expo non è una fiera, non è un luna park, è la rigenerazione di un quadrante della città che darà vita a un distretto del sapere, dell’innovazione, della ricerca e dell’università. Roma è pronta a vincere questa sfida».

Un dossier «preso in corsa»

Una sfida niente affatto facile. Meloni ha ricordato a Kerkentzes che quello di Expo Roma 2030 è «un dossier che il governo prende in corsa», ereditato dall’esecutivo di Mario Draghi, che a settembre 2021 aveva ufficializzato la candidatura di Roma, nata nell’estate del 2020 da un’idea del presidente di Unindustria, Angelo Camilli. «Il sistema delle imprese - ha commentato martedì Camilli al Sole 24 Ore, nel giorno in cui ha incontrato Kerkentzes durante la serata organizzata al Teatro dell’Opera - è convinto che il Paese e Roma hanno tutte le carte in regola per ospitare l’Expo e siamo molto soddisfatti della risposta così compatta arrivata all'unisono da tutte le istituzioni del Paese, governo in primis». A seguire il dossier fu sin da subito Giuseppe Scognamiglio, diplomatico e manager di lungo corso, nonché in passato delegato nazionale al Bie, oggi direttore generale del Comitato promotore guidato da Massolo. È la figura tecnica di continuità, visto il turnover della politica: è cambiata sia l’amministrazione capitolina (da Raggi a Gualtieri) sia il governo (da Draghi a Meloni).

Diplomazia in campo, guardando a Riyad

Massolo e Scognamiglio conoscono bene le asperità della partita. Tutto adesso si gioca sul terreno della diplomazia. Il sistema elettorale del Bureau prevede tre votazioni: nella prima si selezioneranno tre città, poi due, e infine una, quella che si aggiudicherà l’Expo. È considerata scontata la vittoria di Riyad al primo turno, anche perché l’Arabia Saudita lascia filtrare da mesi di poter contare già su più di 60 voti, ma Roma spera di entrare in campo alla seconda votazione. Nella caccia ai voti pesa naturalmente la forza economica dei sauditi (e la promessa di ingenti investimenti), amplificata a dismisura dalla crisi energetica e geopolitica mondiale. Come per Doha, che ha ospitato i Mondiali di calcio, anche per Riyad il “colpo” di aggiudicarsi l’Expo comporterebbe un ritorno d’immagine e di reputazione non indifferente.

L’Europa e l’asse Roma-Odessa

Per l’Europa provata dalla pandemia, dalla crisi e ora dalla guerra, riavere l’Expo in casa, anziché dai vicini mediorientali, sarebbe però un assist non indifferente. Ecco perché Roma e Odessa, fresca di inserimento da parte dell’Unesco nella lista del patrimonio universale in pericolo, potrebbero fare squadra ed è probabile che Meloni ne discuterà con Zelensky nella visita annunciata a breve a Kiev. «Apprezziamo la candidatura di Odessa», ha detto intanto la premier a Kerkentzes. La promessa del governo è una: se l’Italia dovesse ospitare Expo 2030 porterà avanti «iniziative mirate per Odessa, progetti da mettere in campo sia in Italia sia a sostegno della loro ricostruzione». Quanto all’aver avuto l’Expo a Milano solo nel 2015, a compensare sul piatto della bilancia il fattore negativo della distanza temporale così ravvicinata c’è la rassicurazione sul know how italiano per gestire l’evento. Non è un caso che il sindaco milanese Beppe Sala, che dell’Esposizione di otto anni fa è stato commissario straordinario, si sia messo a disposizione di Gualtieri proprio nei giorni in cui Kerkentzes era a Roma. Chiaro il messaggio: quel successo può ripetersi, stavolta nella Città Eterna.

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