di Giulia Crivelli
Sono i colori dominanti, con alcuni tocchi di grigi e cammello
2' di lettura
Nessuno stilista che desideri essere protagonista di questo mondo post rivoluzione digitale può pensare di fare a meno del web, dei social e, sì, persino degli influencer. Ma c’è modo e modo e ognuno, sembrano suggerire Domenico Dolce e Stefano Gabbana, deve trovare il suo, perché l’alternativa non è tanto uscire dallo Zeitgeist, bensì perdere il bene più prezioso di un’anima creativa e di un marchio: lo stile.
«La nostra avventura è iniziata nel 1984: tra pochi mesi potremo festeggiare 40 anni. Un traguardo che a volte ci spaventa, una cifra tonda che rende molto bene l’idea del tempo che passa. Anzi, del tempo che vola – raccontano i due stilisti-imprenditori –. Ma la strada che abbiamo alle spalle ci dà molta forza e sicurezza, benché nel nostro lavoro non ci si senta mai arrivati e si abbia a volte paura di non avere nuove, felici, intuizioni creative. Per fortuna razionalità ed emotività convivono in entrambi e si rafforzano a vicenda ed è questo che ci permette di reinventarci a ogni stagione, senza mai avere l’impressione di aver tradito i noi stessi del passato».
La collezione che ha sfilato ieri a Milano, 76 look in tutto, si chiama proprio Stile, che significa in realtà anche molto altro: «Oltre al rispetto per la nostra identità e per l’immaginario di riferimento del marchio, ci siamo concentrati sulla sartorialità – aggiungono Domenico Dolce e Stefano Gabbana –. Un’idea di capo tagliato bene che non è legata solo agli abiti più formali, ma anche a canotte, magliette e giacche di ogni tipo. La Sicilia e l’influenza della Magna Grecia sulla terra che da sempre ci ispira si vede persino su alcune t-shirt con drappeggi che ricordano la struttura delle statue». Colpisce anche la gentilezza di alcuni tocchi, come i fiori ricamati o scolpiti a mano, potremmo dire, su camicie e maglie. «L’archivio di 40 anni di collezioni sarà sempre fonte di ispirazione e anche per questa stagione abbiamo ripescato alcuni capi, che riportano l’etichetta dell’anno in cui sono stati presentati la prima volta. Ma cambia il contesto, gli abbinamenti, a volte persino i materiali. È stato Luigi Pirandello, un siciliano, forse non a caso, a scrivere un libro intitolato Uno, nessuno e centomila: non sappiamo cosa avrebbe pensato lo scrittore dell’attuale ritmo della società o del linguaggio della moda – concludono gli stilisti –. Però, mutatis mutandi, ci piace l’idea che si possa avere uno stile, appunto, unico, da declinare in centomila modi diversi. Anche perché ogni persona è unica, ma, allo stesso tempo, ha centomila, forse infinite, sfumature diverse».
Giulia Crivelli
fashion editor
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