di Carlo Carboni
Immanuel Wallerstein (GettyImages)
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Immanuel Wallerstein sosteneva che nell’economia-mondo capitalista sono in ballo, sul lungo periodo, l’alternativa tra un sistema democratico, più partecipativo (Occidente) e un sistema socialista, più autoritario (Oriente). Nel presente, la conflittualità è tra il moderno sistema-mondo (che è economia-mondo) e gli imperi-mondo che sopravvivono da secoli, sotto diverse spoglie, come la Russia di Vladimir Putin.
Gli eventi inattesi che si sono susseguiti negli ultimi 14 anni e le loro conseguenze dimostrano che nel mondo non esistono certezze. Ciononostante, come sosteneva Ilya Prigogine (e non solo lui), la conoscenza continua a estendersi e a scavare, per offrire all’umanità le migliori redini per cavalcare l’incertezza, con le logiche dell’incerto. Con queste logiche, nella lunga durata storica, secondo Fernand Braudel, l’uomo ha costruito socialmente lo spazio e il tempo. Fino all’oggi globale e digitale che dà velocità moltiplicata e drastico accorciamento delle distanze. Fino a costituire un sistema-mondo moderno che, nei termini di Wallerstein, è oggi un’economia-mondo sempre più interconnessa (globale), ma ancora in conflitto contro gli imperi-mondo superstiti, le forme tradizionali centralizzate di sistemi-mondo.
Gli imperi-mondo fondano la loro esistenza non solo sulla repressione dei conflitti interni, ma soprattutto di quelli esterni con territori periferici o semi-periferici. Come oggi accade con la guerra in Ucraina, dove si confrontano, da un canto, sistemi capitalistici democratici che, nel mondo moderno sempre più interconnesso, considerano il benessere del Paese vicino una conferma del proprio benessere; dall’altro, un impero-mondo zarista-sovietico (17,1 milioni di chilometri quadrati) che per giustificare l’invasione dell’Ucraina sostiene che il proprio benessere è minacciato dalle scelte di campo del proprio vicino (0,6 milioni di chilometri quadrati). Il teatro di guerra è l’Ucraina, a cui l’impero-mondo russo superstite nega il diritto di far parte del moderno sistema-mondo democratico. L’economia-mondo democratica ha il dovere di dar voce e sostegno a quanti viene negato il diritto di scegliere.
Ancora oggi – prevedibilmente per lungo tempo – l’economia mondo capitalista ha – e avrà – un centro capitalistico dominante negli Stati Uniti. La loro egemonia, tuttavia, appare in declino o, quantomeno, contendibile. Lo attesta, sullo scenario delle Nazioni unite, l’astensionismo di grandi semiperiferie come l’India, il Messico, l’Arabia Saudita, l’Iran e, ovviamente, la Cina che ambisce ad affrancarsi come semiperiferia e a candidarsi come nuovo centro capitalistico egemone con un sistema socialista, più autoritario. Da qui viene la sfida politica, tecnologica, economica e militare principale per gli Stati Uniti, sempre più concentrati nell’area del Pacifico.
La sfida russa all’Unione europea (e alla Nato) si pone a un altro livello: è piuttosto tra un redivivo impero-mondo e l’economia mondo a egemonia capitalista democratica. Putin sfrutta un clima geopolitico di backlash autoritario ormai decennale in alcune grandi democrazie come India, Brasile Thailandia, Turchia, Polonia e un mood sociale influenzato da nazionalismi etnoculturali diffusi in tutta la Ue. In questa sfida, l’Unione deve dimostrare di essere capace di colmare i suoi gap (nella difesa e sicurezza, nel digitale e intelligenza artificiale, nell’energia, nel farmaceutico) che la rendono oggi un gigante economico dai piedi politici di argilla. Avrà il tempo di una generazione per fare questo salto di qualità, che può restituirle sovranità e la partita vinta con l’impero-mondo di Putin. La strada da percorrere è la cittadinanza europea e un’Europa unita e consapevole che nessun Paese membro è in grado di colmare con le proprie forze quei gap e di reggere il confronto con la Russia, iniziato nel peggiore dei modi. Per ora le sanzioni economico-finanziarie sono la risposta della Ue e di larga parte dell’economia-mondo, con l’obiettivo di un drastico ridimensionamento dell’interconnessione con l’autarchia russa (però, con effetti limitati, secondo l’Ispi).
Questo è il contesto geopolitico complesso in cui si collocano non solo la guerra in Ucraina, ma anche il pacifismo delle società europee, non a caso silente (quindi, ricercato in Tv). Al pacifismo, infatti, manca il coraggio di dire la verità sulla soluzione di lunga durata che può condizionare le scelte di oggi: accanto al rafforzamento delle capacità di difesa della Ue, va ripresa la tessitura del disarmo avviata negli anni Settanta e, dopo Mikhail Gorbacev, di fatto evaporata.
Al momento, l’opinione pubblica europea non può che premere per un cessate il fuoco imminente e sperare in una soluzione Putin-Zelensky che consenta l’illusione del win-win, mentre di fatto la guerra ha solo perdenti perché è distruzione, morti e milioni di profughi. La soluzione è la costruzione di una pace duratura sul Continente fondata su una politica di disarmo, sulla ripresa di una progressiva riduzione di armi nucleari e convenzionali della Nato e della Russia su/contro il territorio europeo, come condizione per un recupero graduale dell’interconnessione russa con l’economia-mondo democratica. Il doppio obiettivo delle giovani generazioni europee è l’unità europea e un confronto con la Russia, anche rude, ma utile alla sua de-zarizzazione, al tramonto definitivo di un vecchio impero.
Carlo Carboni
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