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Olimpiadi, quanto valgono le medaglie di Jacobs e Tamberi

dal nostro inviato a Tokyo Marco Bellinazzo

Olimpiadi di Tokyo: ecco quanto vale una medaglia italiana

Vittorie che hanno profonde radici in cui si intrecciano la volontà degli atleti e le scelte della Federazione di atletica leggera compiute 4 anni fa, dopo il flop ai Giochi di Rio

3 agosto 2021
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4' di lettura

Nella sera piovigginosa e tropicale di Tokyo, l’inno di Mameli è risuonato nell’Olympic Stadium. Mentre il tricolore saliva sul pennone più alto, Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi hanno potuto finalmente mettersi al collo da soli (come da rigide norme anti-Covi) le medaglie d’oro agguantate nella storica notte di domenica 1° agosto.

Due vittorie incredibili che però hanno profonde radici in cui si intrecciano la volontà di due atleti eccezionali, che hanno saputo prendersi una rivincita sul destino (come ieri ha fatto del resto all’Ariake Gymnastics Center Vanessa Ferrari, con uno splendido argento al corpo libero), e le scelte non scontate della Federazione di atletica leggera compiute quattro anno fa, dopo l’ennesimo flop ai Giochi di Rio.

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La chiave del successo: più investimenti (anche sugli allenatori)

Dopo un’altra tornata di gare fallimentari, la Federazione in quel momento guidata da Alfio Giomi e dal segretario generale Fabio Pagliara, si pose l’obiettivo di rifondare il movimento partendo dai giovani (qui avvalendosi dell’esperienza di Stefano Baldini, oro olimpico di maratona ad Atene 2004 e direttore tecnico giovanile della Fidal da agosto 2018) e dal territorio. Ma soprattutto dal binomio tecnico-atleta.

La strategia cioè è quella di investire non solo sugli atleti ma anche sugli allenatori, arruolando un centinaio di tecnici dislocati sul territorio, aumentando nel contempo gli stanziamenti per la preparazione olimpica. Rispetto ai 3 milioni mediamente spesi all’anno per selezionare e formare i talenti da schierare ai Giochi e nelle altre competizioni internazionali si passa a una media stagione di circa 5,3 milioni. Sul quadriennnio olimpico (in realtà un anno in più per il rinvio causato dal Covid-19) sono stati investiti in questo modo oltre 20 milioni, una quota pari al 20% degli introiti della Federazione.

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La Federatletica cerca contestualmente di diventare sempre più indipendente dai contributi pubblici. Il budget annuale a disposizione è pari a 25 milioni, poco meno della metà (10/12 milioni) arrivano dai contributi pubblici (oggi erogati da Sport e Salute), mentre il resto è incassato attraverso le sponsorizzazioni, le quote associative, il contratto con l’intermediario Infront e le entrate derivanti dalla Runcard, la piattaforma che valorizza la community dei runner.

La «miniera» dei nuovi campioni

Su 300mila tesserati la base di praticanti in pista è attualmente all’incirca di un terzo. Per estrarre da questa miniera una nuova leva di atleti, la Fidal ha creato una piramide costituita da tecnici centrali e territoriali, incrementando il numero dei grandi raduni dedicati ai più giovani e promettenti, così come le occasioni di gareggiare a livello internazionale, assicurando assistenza anche a livello sanitario. Per gli atleti top, come Jacobs, Tamberi e Filippo Tortu, sono stati definiti percorsi e staff ad hoc, programmando le annate in sinergia (e non più in contrapposizione) con i Gruppi militari o delle Forze di Polizia per cui di solito sono tesserati. Antonio La Torre, direttore tecnico dal settembre 2018, ha voluto un coordinamento stabile in questo ambito.

Il Coni poi ha fatto la sua parte, investendo sui centri federali di Formia, Tirrenia e dell’Acquacetosa. Proprio a Formia, la vera casa dell’atletica italiana, una struttura all’avanguardia, il nuovo presidente federale, Stefano Mei, indimenticato mezzofondista campione d’Europa nell’86, eletto a gennaio 2021 al vertice della Fidal, si augura di poter ora allevare i prossimi campioni olimpici. Molti la nazionale li ha già in casa. «Abbiamo scelto di portare qui 76 atleti - ha spiegato al Sole 24 ore sulla pista di Tokyo poco dopo i trionfi di Jacobs e Tamberi - perchè crediamo in questi ragazzi e in queste ragazze. Il segreto? Metterli nelle condizioni di esprimersi al meglio e dargli fiducia senza creare pressioni deleterie. I risultati stanno arrivando, anche se le vera forza di questa squadra la vedremo a Parigi».

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L’eredità della vecchia gestione

Mei è pronto a raccogliere l’eredità della gestione precedente, al di là delle ovvie divergenze, migliorandola dove è necessario e riequilibrando dove opportuno il rapporto tra centro e periferia. Il bene superiore dell’atletica e «la nuova era in cui siamo entrati» lo esigono. D’altronde, i successi di Jacobs e Tamberi, non sono eventi isolati. Qualche mese fa per la prima volta la nazionale italiana under 23, ad esempio, ha ottenuto il primato nel medagliere al campionato europeo. Le vittorie a livello giovanile non erano una rarità ma gli juniores si smarrivano nel passaggio alle categorie superiori. Le strategie messe in campo in questi anni mirano proprio a evitare questa dispersione.

Adesso la Fidal di Mei dovrà gestire l’onda del successo che di solito segue la grande esposizione mediatica collegata ai trionfi olimpici come già accaduto per altre discipline divenute “di moda” in passato. Mega raduni e un sano rapporto con il territorio saranno strumenti importanti. Il percorso di Tamberi è stato ad esempio costruito ad Ancona, anche con investimenti strutturali su impianto e pedane, così come si è tentato di lavorare a Siracusa per il salto con l’asta. E naturalmente dovrà essere gestita anche la super esposizione dei neo-campioni. Per Jacobs e Tamberi si aprono ora le porte dello Star System. Sponsor e agenzie di comunicazione suoneranno alle loro porte. In ballo ci sono contratti per 3-4 milioni all’anno.

Ma con le lusinghe e i lauti guadagni pioveranno anche critiche e insinuazioni, come quelle alimentate ieri da Washington Post e Times che, in maniera più o meno esplicita, hanno instillato sospetti sulla genuinità dei miglioramenti del nuovo campione olimpico dei centro metri.

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