di Sara Magro
L’ingresso dell’hotel
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Superati i filari di meli della Val Venosta comincia la Val Senales, che sale fino al ghiacciaio al confine con l’Austria, dove il 19 settembre del 1991 fu ritrovata Ötzi, la celebre mummia plurimillenaria. Quasi alla fine della vallata, circondata da imponenti montagne e isolata da rigidi inverni, Certosa è un paese di appena 300 abitanti la cui storia è iniziata nel 1326, quando alcuni monaci benedettini fondarono qui un convento, dove vivevano seguendo la consolidata regola dell’ora et labora fino al 1782, quando l’ordine fu abolito.
Il monastero di Certosa
In anni recenti, attorno al suo chiostro abbandonato per secoli, è rinato il nucleo dell’odierno villaggio con una trentina di appartamenti collegati dal corridoio medievale. E l’eredità monastica è ricordata grazie alle attività di un’associazione locale che ha anche istituito la Via Monachorum, un cammino di circa tre ore a piedi che unisce i borghi di Madonna, Certosa e Monte Santa Caterina, scandito da cartelli filosofici che invitano alla riflessione e al silenzio.
Il silenzio è anche il filo conduttore scelto dalla famiglia Grüner per il Goldene Rose, il piccolo e curatissimo albergo di Certosa, con poche camere rinnovate con eleganza essenziale. Non si pensi però a un luogo dove non si può fiatare. L’invito è piuttosto alla contemplazione e alla quiete interiore, qui facilmente praticabili nello scenario naturale e con il supporto dell’hotel. La cucina è tradizionale, con serate di canederli o fonduta servite da giovani in costume altoatesino, e un menù Silentium che richiama lo stile di vita di questo angolo remoto delle Dolomiti: verdure dell’orto e carne di agnello per ricordare che si pratica ancora la transumanza, portando le greggi nei pascoli d’altura con un cammino di tre giorni.
La spa, ispirata al chiostro, è all’aperto come nel Nord Europa: si arriva in accappatoio e infradito (sì, anche a gennaio sotto una bella nevicata) per trovare subito sollievo nell’idromassaggio fumante, nella sauna finlandese e poi, davanti al camino, nella Gloriette di cristallo. Massaggi e cure di bellezza si fanno con prodotti a base di acqua del ghiacciaio; mentre in una casetta di vetro si bevono tisane e si fa merenda davanti alla stufa e alle montagne.
Per sconnettersi davvero da tutto e a riconnettersi con se stessi il modo c’è: salire sul ghiacciaio in seggiovia a 3.200 metri, ammirare l’installazione Our Glacial Perspectives di Olafur Eliasson, scendere a piedi (o con gli sci) al rifugio Bella Vista a 2.900 metri. Dopo l’aperitivo in una cappella laica in legno e dopo la cena con canederli e deliziose frittelle del Kaiser in rifugio, ci si ritira nella casetta doganale, isolata tra le vette del ghiacciaio: un letto, un tavolo e una stufa. L’effetto «Into the wild» si può attenuare condividendo l’esperienza con qualcuno di molto caro.
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