di Marco Valsania
(REUTERS)
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La Federal Reserve tempera la sua crociata anti-inflazione, facendo scattare un rialzo di 50 punti base nei tassi di interesse interbancari americani al 4,25%-4,50% dopo quattro strette di 75 punti base. Ma fa sapere di voler procedere l’anno prossimo con ulteriori, ripetuti interventi che potranno portare il costo del denaro oltre il 5%, una soglia più elevata di quanto finora previsto.
Il nuovo pronostico promette di estendere quello che è già il più rapido ciclo di strette da parte della Banca centrale statunitense in decenni, giunto al settimo intervento consecutivo da marzo quando i tassi erano vicini a zero. La manovra proseguirà anche se sarà affiancata da un significativo indebolimento dell'economia, con la crescita che nelle attese della Fed l'anno prossimo sarà quasi azzerata, con diversi esponenti che alludono anche a una recessione.
La Banca centrale, nello spingere in occasione del suo ultimo vertice del 2022 il costo del denaro ai massimi da 15 anni, dal 2007, ha sottolineato nel comunicato di anticipare che «ulteriori aumenti nel target (dei tassi, ndr) siano appropriati per arrivare a una posizione di politica monetaria sufficientemente restrittiva al fine di un ritorno nel tempo dell'inflazione al 2%». La Fed ha aggiunto di rimanere «fortemente impegnata» a ottenere un simile risultato.
La Fed non ha scelto di non menzionare esplicitamente, nella sua presa di posizione, recenti progressi emersi nella lotta all'inflazione. I rincari hanno offerto i più espliciti segnali di un possibile rientro a novembre, quando i prezzi al consumo negli Stati Uniti hanno marciato al passo annuale del 7,1%, il più contenuto dallo scorso dicembre. Nella conferenza stampa successiva alla decisione, il chairman Jerome Powell ha tuttavia affermato che necessitano altre prove «per avere fiducia che l'inflazione sia sul corretto cammino» e che «abbiamo ancora lavoro da svolgere», con il carovita che tuttora marcia «ben oltre il target del 2%». Powell ha promesso che la Fed procederà nelle sue azioni «fino a missione compiuta». Fotografando le condizioni del Paese, ha menzionato che l'economia «ha rallentato significativamente dal rapido passo dell'anno scorso», che l'immobiliare «ha frenato», che i tassi più elevati «pesano sugli investimenti aziendali»; ma ha asserito che il mercato del lavoro, in particolare, «rimane squilibrato, molto forte e sotto pressione», un fattore considerato inflazionistico.
La Fed appare impegnata a calibrare un difficile messaggio. Da un lato vorrebbe evitare se possibile di eccedere nel soffocare la crescita economica, innescando recessioni; dall'altra vuole però evitare di tirare le redini della manovra restrittiva troppo in fretta, un gesto che metterebbe in gioco la sua stessa credibilità anti-inflazione già scossa da precedenti sottovalutazioni della corsa dei prezzi. I critici hanno ripetutamente accusato la Fed sotto Powell di una strategia inadeguata, poco chiara o lungimirante. Il chairman della Fed ieri è parso preoccupato anzitutto di riaffermare le sue credenziali contro l'inflazione, forse stimolato anche da aspettative sui mercati che hanno ipotizzato l'avvicinarsi di svolte della Fed, verso una conclusione delle strette e futuri allentamenti di politica monetaria. Powell nel recente passato aveva oscillato tra promesse di un costante impegno a rintuzzare ciò che ha definito come il principale nemico odierno, il carovita, e indicazioni d'esser pronto a rallentare la manovra in corso, lasciando aperti interrogativi sul percorso della Banca centrale.
Il nuovo messaggio della Fed, che combina un intervento odierno meno aggressivo e la promessa di proseguire fino in fondo la lotta all'inflazione, si è rispecchiato nell'ultimo aggiornamento dell'outlook economico e sui tassi. I banchieri centrali americani vedono il costo del denaro, stando alle loro anticipazioni mediane, arrivare al 5,1%, con ben cinque esponenti che concordano su un “terminal rate”, un livello massimo del 5,25%, e due che si spingono fino al 5,6 per cento. È un pronostico che potrebbe tradursi in una stretta complessiva ancora di 75 punti base nel 2023, più dei due interventi di 25 punti base di recente ipotizzati da numerosi investitori nei primi mesi dell'anno prossimo.
La crescita del Pil, nel frattempo, agli occhi della Fed dovrebbe attestarsi allo 0,5% nel 2023, con una disoccupazione salita al 4,6% dal 3,7% attuale. L'inflazione scenderà significativamente ma resterà superiore al 3% nel 2023 quando misurata dal preferito indicatore dei prezzi della Banca centrale, contenuto nei dati sui consumi personali, quasi dimezzata rispetto ai livelli odierni. Soltanto nel 2025 l'inflazione potrebbe tuttavia attestarsi al 2,1 per cento.
Marco Valsania
Giornalista
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