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Continua l’emorragia degli italiani che decidono di andare a vivere all’estero, anche se con numeri inferiori dovuti alla pandemia. Quest’anno sono state 83mila le partenze con una flessione del 25% degli espatri. Ma il trend è rimasto intatto se si considera che dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87%, in particolare del 94,8% quella femminile e del 75,4% quella dei minori. Ma quello che preoccupa di più è che a partire sono soprattutto i giovani: tra coloro che abbandonano l’Italia quasi il 42% hanno meno di 34 anni. I dati sono quelli del “Rapporto Italiani nel Mondo 2022”, promosso dalla Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana.
«È da tempo - viene sottolineato nel Rapporto - che i giovani italiani non si sentono ben voluti dal proprio Paese e dai propri territori di origine, sempre più spinti a cercar fortuna altrove. La via per l'estero si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali :autonomia, serenità, lavoro, genitorialità. E così ci si trova di fronte a una Italia demograficamente in caduta libera». A chiedere «una adeguata riflessione» sui tanti giovani che abbandonano l’Italia per motivi di studio e di lavoro è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Giovani, ha ricordato il capo dello Stato, «con alto livello di formazione» che «spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione». Ma anche perché «in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio».
La prima regione di partenza è la Lombardia, seguita da Sicilia e Veneto. Quindi a partire è di più il nord ma in realtà si tratta - è stato spiegato - di una prima emigrazione dal Sud che una volta arrivata al Nord riparte per l’estero. In una Italia che tra i suoi principali problemi conta la denatalità ed una preoccupante contrazione della popolazione, un altro allarme viene dal fatto che attualmente all’estero ci sono 5 milioni e 800 mila italiani emigrati, mentre sono un numero inferiore, 5 milioni e 200, gli immigrati in Italia. Negli ultimi 15 anni poi ad ogni immigrato che vive in Italia corrisponde un italiano che è partito per l’estero, per una cifra di 2 milioni e 700 mila ovviamente per entrambi i casi.
Tra quanti rimangono in Italia a vivere ci sono anche gli apolidi, 3.000 persone che non hanno la cittadinanza di alcun Stato e vivono nella società italiana come degli “invisibili”, mentre al livello mondiale sono almeno 4,3 milioni di persone. L’assenza di un’identità legale significa per le persone apolidi un accesso limitato ad istruzione, cure mediche, misure di protezione sociale o un regolare impiego. Anche il giornalista Gad Lerner per molta parte della sua vita è stato un apolide. Nato a Beirut, in Libano, è arrivato in Italia a tre anni ed è rimasto apolide fino a 30 anni quando ha sposato una donna italiana ed ottenuto finalmente un passaporto italiano. In quel «limbo durato 27 anni» il giornalista si è sentito trattato come «uno scarto umano senza diritti». Perché altri non vivano tali esperienze è nata l’Unione italiana apolidi (Unia), la prima organizzazione «di apolidi per gli apolidi», sorta grazie alla volontà di quattro giovani e il supporto di Unchr e Intersos.
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