How to Spend it
Pubblicità

How to Spend it

Una collezione composta di taccuini, arredi e una stilografica speciale

di Jan Brokken

Immagine non disponibile
Jan Brokken

Jan Brokken

Gli oggetti più belli sono quelli che rievocano ricordi. D'infanzia, di lavoro – come una macchina da scrivere elettronica portatile – di viaggi musicali e di ritorni a casa, fra scrivanie del XVI secolo e bouquet di fiori freschi

6 maggio 2022
Pubblicità

5' di lettura

Quando avevo circa otto anni, scrissi le mie prime storie sui quaderni che mio padre mi aveva regalato. Quaderni molto speciali. Mio padre era il pastore di una chiesa protestante in un villaggio a sud di Rotterdam. Componeva i suoi sermoni su un taccuino dalla copertina in cartone di colore azzurro. Erano fogli di carta bianca tratteggiata da sottili linee blu, e poi cuciti con uno spago. Ordinava una scatola da cento di quei quaderni ogni anno. Quando il tempo era brutto, e il tempo in Olanda è brutto tutto l'inverno, io chiedevo un quaderno e andavo a ideare storie nel suo studio. Mio padre lavorava sul sermone e io sulla mia storia, vicino ai fornelli: era bellissimo. Annusavo la carta, la sentivo sotto le dita. Il gesto stesso di scrivere era più importante per me del contenuto.

All'età di dieci anni ho iniziato a tenere un diario dei miei viaggi. A quei tempi erano per lo più semplici spostamenti per vedere gli zii, a 40 chilometri da casa. Ricordo in particolare un'edizione del diario con la copertina rossa, come il rossetto per le labbra, nella quale raccontavo il mio viaggio in Danimarca. Mio fratello maggiore si era fidanzato con una ragazza danese, così trascorremmo due estati di fila nello Jutland con tutta la famiglia. E il rosso era il colore che si addiceva proprio a quei momenti, perché per la prima volta provavo una sensazione vicina alla scoperta dell'erotismo in quello che allora era un Paese molto liberale. La descrissi, anche se in termini piuttosto velati. Il mio taccuino era, in pratica, anche il migliore amico a cui potevo confidare i segreti.

Pubblicità

Ancora oggi, quando viaggio, non porto con me un laptop, uso i taccuini; ormai ne conservo centinaia. La carta è ancora fondamentale nella mia vita. La migliore – più spessa, con legatura e copertina con motivi stile liberty – l'ho trovata nel 1981 da Paolo Olbi a Venezia. È stato così emozionante quell'incontro che ho deciso di scrivere su questo taccuino solo i miei pensieri più intimi, le idee per romanzi, racconti e citazioni. Il notebook era composto da 500 pagine, quindi potevo andare avanti a lungo. Quando, anni dopo, sono tornato a Venezia, sono andato subito da Paolo Olbi per comprarne uno nuovo, ma aveva cambiato indirizzo. Temevo che il negozio non esistesse più, invece è nel Sestiere di Dorsoduro.

Mia moglie mi ha regalato una penna Montblanc Meisterstück Gold-Coated 149, la Rolls-Royce delle stilografiche. È stato il dono più bello che mi abbia mai fatto, insieme ai due pianoforti, il Yamaha U3 per la mia casa di Amsterdam, e un Roland elettronico per quella francese. Il problema è quando finisce l'inchiostro... Perciò, se mi trovo lontano da casa, porto con me un pennarello, sempre lo stesso Pilot, spessore 1.0. Non posso nemmeno respirare senza quella penna. Di recente una lettrice italiana mi ha detto: “Non so se lei sia il miglior scrittore al quale ho chiesto un autografo, ma sicuramente è quello con la firma migliore”. Tutto merito della penna.

Ho scritto metà dei miei libri usando una macchina da scrivere elettronica portatile di colore arancione, con poca memoria. Era un dispositivo fantastico. Non c'erano aggiornamenti da fare, esistevano solo la macchina, il testo e io stesso. Ma ho dovuto smettere di usarla nel 2004, su richiesta del mio editore. A volte la tiro fuori dal ripostiglio e la guardo con affetto. Con lei ho scritto Jungle Rudy mentre mi trovavo nell'altopiano della Gran Sabana in Venezuela, ricavando l'energia elettrica da un generatore. Era come una sorella per me. Mi vengono le lacrime agli occhi quando guardo i tasti: neri, che brillavano come quelli del mio pianoforte. Negli anni in cui ho vissuto nell'isola caraibica di Curaçao, avevo così paura che la rubassero che la portavo con me in spiaggia.

Oggi, quando viaggio, alcuni oggetti lo fanno con me. Mi riferisco a un walkman, almeno venti cd e cuffie supersoniche di marca Fostex TR80, che indossano i direttori d'orchestra quando ascoltano le registrazioni che hanno appena eseguito. Accompagnato dalla Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler, nessun volo è troppo lungo per me. Scrivo sempre con le cuffie. Così sono tagliato fuori da tutto e mi sento nel mio mondo. Ho una vasta collezione di vinili e cd, non riesco a convincermi a sbarazzarmi dei dischi, in particolare quelli di musica classica che ho comprato in Unione Sovietica, specialmente i quartetti per archi di Shostakovich eseguiti dal Quartetto Borodin. Musica da pelle d'oca. Ma anche Rubber Soul, il primo disco dei Beatles che mi ha regalato il mio amore d'infanzia.

Che bello sarebbe se si potesse viaggiare portando con sé anche i propri libri. Il problema è che occupano così tanto spazio. Metà della mia collezione si trova in un ripostiglio in una desolata area industriale vicino ad Amsterdam. Ma i libri più memorabili sono ovviamente nella mia biblioteca. La copia di Cent'anni di solitudine che Gabriel García Márquez ha firmato per me, “in un gelido giorno di novembre a Parigi”, come scrisse, dopo un'intervista di due giorni con lui. “Para Jan, de su amigo, Gabo”, penso che la porterò con me nella tomba.

Gli oggetti più preziosi, per me, sono quelli che evocano bei ricordi. L'ex presidente francese Sarkozy una volta disse che se all'età di 50 anni non possiedi un Rolex allora sei un perdente. Questo è davvero un pensiero da parvenu. Io piuttosto spendo un sacco di soldi in mobili. Ho una copia della poltrona Red & Blu di Gerrit Rietveld, due esemplari della panca Steltman, sempre di Rietveld. E poi la sedia Hill House di Charles Rennie Mackintosh. Vivo in un ex magazzino del 1670, da cui sono stati ricavati vari appartamenti, nel quartiere dei canali di Amsterdam. Le travi giganti del soffitto originariamente provenivano da navi che solcavano tutti gli oceani. Trovo che il confronto tra antico e ultramoderno sia stimolante.

Quando rendi speciale la tua casa ami sempre tornarci. Fra gli oggetti a cui sono più affezionato c'è la mia scrivania, che viene da un monastero nel dipartimento della Charente francese. Risale al XVI secolo, su di essa i monaci hanno copiato testi per decenni. Mi sento, quando ci scrivo, come se continuassi anche io la tradizione. Ma su quella pesante scrivania di quercia, che mi è costata una fortuna tra acquisto, restauro e trasporto, ho appoggiato una lampada all'avanguardia: la luce di oggi sul mondo di ieri.

Quando torno a casa dopo un lungo viaggio faccio una cosa molto olandese: compro un bouquet nel negozio di fiori più bello del mondo, Pompon sul Prinsengracht. Le composizioni della fiorista Hilde assomigliano alle famose nature morte della pittura olandese del XVII secolo. Il bouquet incombe sul grande tavolo da pranzo della cucina. Compro anche fiori bianchi per la mia scrivania e un ramo di ciliegio giapponese per il soggiorno. Mia moglie, che è francese, dice sempre: «In una cosa voi olandesi non avete rivali, nel vostro gusto per i fiori».

Jan Brokken, nato a Leida nel 1949, è uno scrittore, giornalista e viaggiatore olandese. Tra le sue prime pubblicazioni importanti c'è De provincie (1984), da cui è stato tratto un film. Il successo internazionale è arrivato con Jungle Rudy (1999). In Italia tutti i suoi libri sono pubblicati da Iperborea .

Riproduzione riservata ©
Pubblicità
Visualizza su ilsole24ore.com

P.I. 00777910159   Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie  Privacy policy