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Lavoro, in Europa record di posti vacanti e dimissioni. È il «grande turnover»

di Michela Finizio

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Dimissioni volontarie in crescita. In Italia 2,2 milioni di contratti risolti nel 2022, il 13,8% in più sul 2021.  Massimo storico anche in Francia (2,16 milioni  nel 2022), pari al 2,7% dei dipendenti

Dimissioni volontarie in crescita. In Italia 2,2 milioni di contratti risolti nel 2022, il 13,8% in più sul 2021. Massimo storico anche in Francia (2,16 milioni nel 2022), pari al 2,7% dei dipendenti

In diversi Paesi si registra carenza di manodopera .Picco di contratti risolti in Spagna, Francia e Italia. E cresce anche il turn over

25 marzo 2023
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5' di lettura

La “grande scomparsa” di candidati affligge il mercato del lavoro europeo. I datori di lavoro faticano a trovare profili da assumere, e non solo nel settore alberghiero e della ristorazione. Nel frattempo, andando ulteriormente ad alimentare la domanda, a fine 2022 il boom delle dimissioni volontarie ha toccato il suo picco massimo in Paesi come l’Italia, la Spagna e la Francia, diventando il sintomo più evidente del fatto che gli europei dopo la pandemia non vogliono più lavorare come prima.

Si concentra su questi aspetti l’ultima inchiesta - durata tre mesi - dello European data journalism network, a cui ha preso parte Il Sole 24 Ore insieme ad altre testate europee: l’indagine, guidata dalla redazione di Alternatives Economiques, è stata pubblicata il 25 marzo e ha l’obiettivo di raccontare come il Covid-19 ha cambiato il modo in cui lavoriamo o il modo in cui pensiamo al lavoro.

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La ricerca di manodopera

Il tasso di posti di lavoro vacanti è ai massimi storici nell’Eurozona: secondo i dati Eurostat il 3,1% dei posti di lavoro retribuiti non è stato occupato nel terzo trimestre del 2022, rispetto al 2,6% del terzo trimestre del 2021 e al 2,2% dello stesso periodo del 2019, prima della crisi sanitaria. «Segno che le tensioni si stanno moltiplicando sul mercato del lavoro: il dibattito sulla carenza di manodopera ha sostituito il dibattito sulla disoccupazione di massa», afferma il ricercatore belga Wouter Zwysen dell’Istituto sindacale europeo (Etui).

In Germania l’indice Iab (Institute of employment research) sulla carenza di manodopera a febbraio di quest’anno ha registrato il quarto aumento consecutivo, mostrando le difficoltà crescenti nel coprire i posti vacanti delle agenzie per l’impiego tedesche. «Anche a causa del progressivo trend di calo demografico rilevato nel Paese, il bisogno di lavoratori è sempre maggiore», spiega l’economista Gustav Horn, capo consigliere economico dell’Spd.

In Spagna, nel 2022 i posti vacanti sono aumentati del 150% nel settore dei trasporti, del 111% nella pubblica amministrazione, del 91% nelle attività professionali e tecniche. Anche se in termini assoluti le maggiori carenze (per un totale di circa 140mila unità) si concentrano nell’industria e nelle costruzioni.

Nei Paesi Bassi ci sono attualmente 123 posti vacanti ogni cento disoccupati, 15 volte di più che in Francia dove, nel luglio 2022, la percentuale di aziende industriali che dichiaravano difficoltà di assunzione aveva raggiunto il 67%, un livello che non si vedeva dal 1991 (la media a lungo termine per questo indicatore è del 31%, secondo l’Insee). Lo stesso vale, infine, per le imprese italiane, che a gennaio cercavano oltre mezzo milione di lavoratori: il 45,8% dei datori di lavoro all’inizio dell’anno segnalava difficoltà ad assumere, rispetto al 38,6% dello scorso gennaio.

Le dimissioni in parallelo

In parallelo, quasi come un paradosso interno dell’attuale mercato del lavoro, anche le dimissioni volontarie sono in aumento in diversi Paesi. La Francia, ad esempio, nel 2022 ha raggiunto il massimo storico, con oltre 2,16 milioni di contratti di lavoro risolti su richiesta del lavoratore. In proporzione al numero dei dipendenti, il tasso di dimissioni si è attestato al 2,7% nel primo trimestre del 2022, non poi così lontano da quello degli Stati Uniti dove la cosiddette “grandi dimissioni” hanno raggiunto il picco del 3% nel dicembre 2021.

In Italia nel 2022 sono state registrate quasi 2,2 milioni di dimissioni, il 13,8% in più rispetto al 2021 (sono incluse tutte le tipologie contrattuali). In Spagna, dove l’unica statistica sul fenomeno è quella legata ai numeri di previdenza sociale, nel 2022 si segnalano circa 70mila lavoratori con contratti a tempo indeterminato che hanno rinunciato al loro impiego, più che in qualsiasi anno dal 2001, da quando è iniziata questa statistica.

Difficile sapere quanto sia diffuso questo fenomeno in tutto il continente: l’indagine condotta dai partner di Edjnet ha cercato proprio di colmare il vuoto di statistiche aggregate a livello europeo raccogliendo alcune informazioni nei singoli Paesi membri. Secondo il Dutch Central Bureau of Statistics (Cbs) nel primo trimestre del 2022 1,9 milioni di persone in Olanda hanno dichiarato di aver iniziato un nuovo lavoro quell’anno, circa 400mila in più rispetto al primo trimestre del 2021. Anche in Germania, dove invece il fenomeno risulta essere molto ridotto, lo studio annuale sui luoghi di lavoro di Gallup mostra comunque un numero record di dipendenti alla ricerca di un nuovo impiego: 4 su 10 affermano che smetterebbero del tutto di lavorare se potessero permetterselo, il 25% in più rispetto al 2016.

«Il tasso di dimissioni è un indicatore ciclico», si legge in una nota del ministero del Lavoro francese sul fenomeno. «È basso durante le crisi e aumenta durante i periodi di ripresa, tanto forte quanto la ripresa economica è rapida». In pratica, durante le fasi di espansione economica compaiono nuove opportunità di lavoro che spingono le persone a dimettersi più spesso. E la carenza di manodopera tende ad accentuare il fenomeno, in particolare alimentando le pratiche di “bracconaggio” di manodopera tra aziende.

Il «grande turnover»

Fatto sta che il ritorno al lavoro dei lavoratori dimissionari appare rapido, nonostante l’elevato numero di dimissioni: in Francia, circa otto lavoratori su dieci che si sono dimessi da un contratto a tempo indeterminato nella seconda metà del 2021 sono tornati al lavoro entro sei mesi.

Invece di una “grande dimissione”, l’Europa insomma sta assistendo a un “grande turnover”. Rispetto agli Usa, il livello di occupazione - anche quello delle donne, più penalizzate durante il Covid - è tornato ai livelli pre-pandemia quasi ovunque. È il turnover della forza lavoro ad aver accelerato: lo dice la corsa parallela dell’indice dei nuovi occupati, il cui trend positivo sembra chiudere il cerchio.

Basta un esempio per rendere concreto il fenomeno: durante la pandemia, e subito dopo, in Germania nel settore della ristorazione molte persone si sono dimesse e sono andate a lavorare nel settore della vendita al dettaglio, nei trasporti e nella logistica. Alcuni hotel hanno perso fino al 50% del loro personale. Molti dei quali sembrano essersi ricollocati altrove.

L’elevato numero di dimissioni diventa dunque un indicatore di dinamismo del mercato del lavoro, in una situazione in cui il potere contrattuale sembra spostarsi maggiormente a favore dei dipendenti. In un contesto economico favorevole gli europei non esitano più a voltare le spalle ai datori di lavoro. Ma bisognerà vedere se questo dinamismo si tradurrà anche in stipendi più alti o in una migliore organizzazione del lavoro all’interno delle aziende, anche a fronte delle “lezioni imparate” durante la pandemia. Il turnover è infatti possibile solo a fronte di un trend crescente della domanda, ma se il meccanismo dovesse “incepparsi” - crisi demografica e mismatch delle competenze potrebbero rendere insostenibile il tasso di posti vacanti - le aziende dovranno presto essere in grado di soddisfare le richieste dei lavoratori, diventati oggi più esigenti e più selettivi.

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