di Riccardo Sorrentino
La Borsa, gli indici del 15 giugno 2022
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La Federal reserve accelera la stretta. Ha deciso, con un solo voto contrario, di alzare i tassi sui Fed Funds di 75 punti base, portandoli all’1,5%-1,75% dal precedente 0,75-1 per cento. È la prima volta da novembre 1994 che la politica monetaria Usa decide un rialzo così aggressivo. Ha votato contro solo Esther L. George che avrebbe preferito un rialzo di 50 punti base, come annunciato dalla stessa Fed in maggio. La banca central usa continuerà inoltre la riduzione di titoli decisa nella precedente riunione, con le stesse modalità.
Il motivo di una mossa così incisiva è evidente già nel comunicato ufficiale. Le implicazioni della guerra per gli Stati Uniti non sono più «altamente incerte», come era indicato a maggio; e soprattutto la Fed non si aspetta più che l’inflazione ritorni all’obiettivo, anche se è «totalmente determinata» a far di tutto perché questo accada. Le proiezioni indicano un indice dei prezzi Pce in rialzo del 5,2% quest’anno, contro il 4,3% indicato a marzo, del 2,6% l’anno prossimo (dal 2,7%) e del 2,2% (dal 2,3%) nel 2024. La core inflation è prevista pari al 4,3% quest’anno (dal 4,1%), al 2,7% il prossimo (2,6%) e del 2,3% (invariato) nel 2024.
I “dots”, i punti che indicano le intenzioni dei governatori sul futuro andamento dei tassi, indicano una stretta molto più incisiva del previsto anche per tutto il 2022. La mediana delle singoli indicazioni per fine anno porta al 3,25-3,50% dall’1,75-2% di marzo, un’evidente accelerazione, verso un livello mai visto dal 2008. Nelle prossime quattro riunioni di quest’anno, i tassi potrebbero quindi salire di 1,75 punti percentuali, meno di 50 punti base in ogni occasione. A fine 2023 il costo del credito ufficiale a breve termine potrebbe salire fino al 3,5-3,75% mentre a fine 2024 potrebbe anche leggermente calare al 3,25-3.75%. Immutate invece le indicazioni per il lungo periodo: 2,25-2,5%.
Relativamente poco modificata, invece, la diagnosi dell’economia reale contenuta nel comunicato ufficiale. La crescita appare ora in ripresa, dopo il rallentamento del primo trimestre, gli aumenti dei posti di lavoro sono stati «robusti». Il pil è però previsto in crescita dell’1,7% quest’anno e il prossimo (dal 2,8% e 2,2% rispettivamente), e dell’1,9% nel 2024 (dal 2%). La disoccupazione è prevista nel 3,7% quest’anno (dal 3,5%), nel 3,9% il prossimo (dal 3,5%) e del 4,1% nel 2024 (dal 3,6%) nel 2024.
In conferenza stampa, il presidente Jerome Powell ha collegato la decisione al rialzo dell’inflazione (8,6% a maggio) e soprattutto a quello di alcune misure di aspettative di inflazione, che pure tornano rapidamente verso il 2% nel lungo periodo, oltre che dalle nuove proiezioni. I tassi reali di breve periodo, inoltre, non sono ancora positivi.
Le prossime mosse saranno comunque decise - ha aggiunto Powell ribadendo un approccio ormai costante alla Fed - sulla base dei dati in arrivo, nella consapevolezza che sorprese sono sempre possibile e chiedono che la banca centrale sia «agile» nelle proprie decisioni. La banca centrale Usa continua quindi nel rifiuto di plasmare le aspettative attraverso lo strumento, prediletto da Ben Bernanke, della forward guidance. A luglio, in particolare, sarà possibile - ha aggiunto il presidente - un rialzo di 50 come di 75 punti base.
La banca centrale continuerà rapidamente a portare i tassi - ha aggiunto - ai livelli “normali” («che sono piuttosto bassi in questo periodo»)- ma potrebbe continuare la stretta. La Fed potrà considerarsi soddisfatta soltanto quando avrà visto una serie di riduzioni nei dati mensili di inflazione, che porti la dinamica dei prezzi verso l’obiettivo. Per ottenere questo risultato, ha aggiunto il presidente, occorrerà frenare la domanda, che è ancora molto elevata - ma senza far scattare una recessione, ha precisato - e ridurre gli squilibri sul mercato del lavoro dove ci sono ancora molti posti vacanti e gli aumenti dei salari sostanziosi.
Riccardo Sorrentino
Redattore
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