di Marta Casadei
Off White, marchio fondato a Milano nel 2012 da Virgil Abloh, alla Paris Fashion Week (AFP)
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Mentre gli addetti ai lavori presidiano la Ville Lumière, nella Milano post elezioni si traccia un bilancio della fashion week che si è tenuta dal 20 al 26 settembre. Un bilancio per immagini ad alto impatto, oggi il modo più efficace per comunicare a livello globale: le centinaia di piumini bianchi Moncler che illuminano Piazza Duomo e la cattedrale che si staglia alle loro spalle; 68 coppie di gemelli, scelte da Alessandro Michele per indossare la collezione P-E 23 di Gucci, che camminano stringendosi la mano; la scultura gonfiabile enorme che Diesel ha voluto al centro dell’Allianz Coud Arena, dove ha portato cinquemila persone.
Ma anche un bilancio fatto – più tradizionalmente – di numeri: i compratori internazionali che si sono registrati a White Sign of the Times, salone della moda contemporary, in crescita del 18% rispetto all’edizione di settembre 2021. Oppure i visitatori delle fiere Homi, Micam, Mipel e The One: 35.470, +20% rispetto a marzo.
Il momento non è semplice: da un lato lo spettro di un aumento ulteriore e incontrollato dei costi del gas crea preoccupazioni e l’inflazione mina la fiducia dei consumatori; dall’altro la «mobilitazione parziale» annunciata da Putin sposta in avanti la fine di un conflitto auspicata da molte imprese del settore. Eppure la moda non si è arresa: in questo fashion month si è messa il vestito migliore per raccogliere ordini e condivisioni sui social, puntando su un pubblico sempre più internazionale, connesso, giovane, consapevole.
E sembra svanita l’antica rivalità tra Milano e Parigi, storiche nemiche-amiche: sarà perché già da tempo circa il 60% del lusso francese viene prodotto in Italia, dove i giganti d’oltralpe che macinano ricavi grazie a storici brand italiani hanno aperto fabbriche e rilevato fornitori (e continuano a farlo). Sarà perché, come ha detto Riccardo Grassi (si veda lo Speciale moda donna del 20 settembre), agli occhi dei buyer stranieri «Milano e Parigi sono così vicine da essere un’unica realtà».
Di fatto – complici i lockdown nel periodo nero della pandemia, i prezzi della logistica alle stelle e una coscienza ambientale che piace e compiace i consumatori – la moda sta ridimensionando i propri orizzonti (produttivi) e la sinergia Milano-Parigi dà forma a un hub - creativo, produttivo, commerciale - che sembra uscito persino rafforzato dalle difficoltà incontrate negli ultimi anni, al contrario di Londra e New York.
A rinsaldare questa alleanza un tempo forse impensabile è la cornice dell’Unione europea, che mai come ora sembra essere attiva sul fronte moda: dal pacchetto di proposte per rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili alla costituzione della European Fashion Alliance, che riunisce 25 istituzioni di 18 Paesi, tra le quali spiccano la Camera della moda italiana e quella francese, la Fédération de la Haute Couture et de la Mode.
Marta Casadei
redattore
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