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Il Pd vince le «primarie di coalizione» ma i possibili alleati si restringono

di Emilia Patta

Regionali, Conte: "Redivivo Letta stappa champagne su performance Pd"

I dem tengono nel voto lombardo e laziale mentre M5s e Terzo polo dimezzano i consensi. La lunga strada per costruire l’alternativa e le ricette opposte di Bonaccini e Schlein: le primarie del 26 febbraio faranno chiarezza?

14 febbraio 2023
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4' di lettura

Il tanto evocato sorpasso del M5s sul Pd nel Lazio non c’è stato e il tentativo del Terzo polo di sconfinare nelle terre del centrodestra in Lombardia neanche, tutt’altro. Certo, per il Pd non è un bel giorno quello in cui si devono incassare due pesanti sconfitte - con oltre 20 punti di distacco - e la perdita di una regione governata in prima persona negli ultimi 10 anni con l’ex segretario Nicola Zingaretti. Eppure se queste regionali avevano anche il significato di un test interno all’ex “campo largo” si può dire che le primarie di coalizione le ha vinte il Pd.

Il Pd tiene e vince le «primarie di coalizione»

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Nonostante la vacatio della leadership dovuta al lunghissimo congresso che si concluderà con le primarie tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein del 26 febbraio e nonostante il calo nei sondaggi nazionali in favore del M5s, alla prova dei primi voti reali dopo le politiche del 25 settembre il Pd si dimostra ancora vivo. Anzi, addirittura cresce un po’ in entrambe le regioni: dal 19% passa al 20,2% nel Lazio e al 21,8% in Lombardia. Mentre i possibili alleati, M5s e Terzo polo, si sfarinano ai due lati.

Il crollo di M5s e Terzo polo sia soli sia in coalizione

In Lombardia la federazione di Carlo Calenda e Matteo Renzi aveva scelto la corsa solitaria con l’ex ministra azzurra Letizia Moratti nel chiaro intento di “rubare” voti ai moderati delusi del centrodestra, ma si ferma al 9,8%. E in più nel voto di lista precipita dal 10% raccolto alle politiche a un misero 4,2%. Sempre in Lombardia il M5s, che appoggiava il candidato dem Pierfrancesco Majorino, crolla dal 7,5% a meno del 4%. Stesso scenario ma ad alleanze invertite nel Lazio: il Terzo polo, che qui ha appoggiato la candidatura del dem Alessio D’Amato, cala dall’8,4% a meno del 5% mentre il M5s, che ha tentato l’avventura solitaria con Donatella Bianchi nel chiaro intento di trasformare in voti reali il sorpasso sul Pd registrato nei sondaggi nazionali, crolla dal 15% delle politiche all’8,6%.

I dem: senza di noi non si va da nessuna parte

Si può prevedere che Giuseppe Conte, contando sul fatto che il M5s è sempre andato meglio nel voto nazionale di opinione rispetto al voto locale, continuerà la sua politica “solitaria” nel campo della sinistra ecologista e di protesta almeno fino alle europee del 2024: l’obiettivo per lui resta quello di massimizzare il consenso per conquistare la premiership del futuro centrosinistra. Ma il voto nelle due principali regioni italiane, intanto, dice non solo che un’alternativa alla destra senza il Pd non è possibile, ma anche che il Pd resta il perno dell’opposizione. Quanto al Terzo polo, le velleità di sfondare nel campo avversario sono rimaste appunto velleità, e la strada a senso unico che Calenda e Renzi hanno di fronte è quella dell’alleanza con il Pd in posizione subordinata. Per dirla con il segretario in pectore Stefano Bonaccini, «Il Pd ha perso nettamente, certo, ma Calenda e i 5 Stelle devono porsi il problema che, avendo perso peggio del Pd, senza il Pd non vanno da nessuna parte».

Le alleanze a geometria variabile e l’astensione asimmetrica

Il Pd ha dunque vinto le primarie di coalizione, ma resta la sconfitta elettorale e lo sfarimento dei possibili alleati ai suoi fianchi non da motivi di ottimismo. Ha sicuramente pesato l’alta astensione, che secondo molti osservatori (tra cui Roberto D’Alimonte sulle colonne del Sole 24 Ore) è stata «astensione asimmetrica», ossia più alta tra gli elettori del centrosinistra, molti dei quali sono rimasti a casa a causa delle divisioni del loro campo che hanno impedito l’accordo su una candidatura che potesse essere competitiva. L’esito scontato e la confusiva politica delle alleanze a geometria variabile, insomma, non hanno pagato in termini di partecipazione.

Duello a distanza tra Bonaccini e Schlein: più sinistra o più centro?

Di certo, con questi numeri Bonaccini - che intanto ha vinto il congresso degli iscritti nei circoli con il 54% contro il 33% di Schlein - ha un viatico in più per proseguire nella sua linea di “vocazione maggioritaria”: un Pd perno del centrosinistra che guarda sia al M5s sia al Terzo polo ma da una posizione di forza. Ma non è un caso che la competitor Schlein legga la sconfitta in modo opposto: «C’è da dare una svolta netta, c’è da risalire. E per farlo occorre un’identità chiara. La destra ha vinto e fa la destra, noi dobbiamo fare la sinistra, quella sinistra che è mancata negli ultimi anni: basta inseguire il centro». Ossia basta con il Terzo polo e sì all’abbraccio con i 5 Stelle. Ha buon gioco Bonaccini a replicare che la sinistra minoritaria non governa: «Fare la sinistra? Il problema è quale sinistra. Se è minoritaria e ideologica serve a ben poco. Io penso a una sinistra riformista, pragmatica e che sta coi piedi dentro la società».

Alle primarie del 26 febbraio vittoria netta o rischio paralisi

Con due visioni così diverse il vero rischio per il nuovo segretario del Pd sarà la paralisi, con la messa in onda della seconda parte del film “meglio allearsi con il M5s o con il Terzo polo?”. Per questo Bonaccini ha bisogno che anche alle primarie aperte agli elettori la vittoria si accompagni a molti punti di distacco, altrimenti sarà difficile imporre una linea chiara a un partito storicamente refrattario alla lealtà nei confronti del leader di turno.

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