di Angelo Flaccavento
Giorgio Armani al termine della sfilata della collezione PE 2023
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«Il bello a vedersi rende belli anche dentro», dice Giorgio Armani a conclusione della settimana milanese della moda. È un messaggio, il suo, di calma e serenità, invero tempestivo tanto nel clima generale del Paese, quanto nel microcosmo del sistema. Compressa in soli cinque giorni, questa tornata di show è apparsa energica ma fin troppo accelerata: una giornata in più sarebbe auspicabile per il futuro. «Continuo il mio discorso – prosegue Armani – ovvero esploro i temi a me cari, osservando i tempi senza troppo farmi travolgere dalle voghe del momento. È uno scontro che può anche essere duro, che mi mantiene all’erta».
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Ultimo titano rimasto attivo della generazione che ha creato il fenomeno made in Italy, ormai nel pieno degli ottant’anni, Armani è più recalcitrante che mai, in permanente stato di grazia. Snocciola lezioni di armanismo una collezione dopo l’altra, puntando su una coerenza che rassicura e rasserena. Questa volta è l’Armani esotico a manifestarsi: sguardi a est verso un oriente evocato ma non meglio precisato, fluidità pervasiva, bagliori dorati e motivi mandala definiscono una colleziona lieve e toccante, pensata, sono ancora parole dell’autore, per «belle donne vestite bene».
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Continua intanto la reinvenzione di Bottega Veneta sotto la direzione creativa di Matthieu Blazy: un ritorno all’ordine, dopo la parentesi di Daniel Lee; una restaurazione di fatto, dopo la sterzata cool, che riconnette il marchio al lungo regno di Tomas Maier, con un twist in più. Presentata all’interno in una installazione di Gaetano Pesce – pavimento di resina e sedute di mille colori, rappresentazione di diversità – la collezione muove in molte direzioni, dalla «banalità perversa», parole di Blazy, di jeans e camicia a quadri, fatti però di morbidissima pelle, al tailoring aerodinamico, dagli jacquard pittorici alle frange danzanti. Non tutto convince, ma la visione autoriale c’è.
Muove di qua e di là, dal workwear acidato –sulla scia di Sterling Ruby –alle paillette da superstar, dall’utilitario al glamour, la moda di Ferrari nella visione del direttore creativo Rocco Iannone. Questa volta, a differenza delle precedenti, la presentazione avviene in un teatro. È intima, e consente di apprezzare da vicino il lavoro attento sui vestiti. Il codice si ammorbidisce, non ultimo per l’ispirazione californiana, ma l’identità è da mettere a fuoco, perchè i cavallini rampanti e i flapper languidi non sono una coppia immediatamente comprensibile, messa così.
Luisa Spagnoli (courtesy ufficio stampa)
Da Luisa Spagnoli si evocano gli anni Sessanta dei trapezi e dell’ottimismo. Visti i tempi grigi e aggressivi, di positività c’è proprio bisogno.
Benetton (Photo by Miguel MEDINA / AFP)
Il debutto di Andrea Incontri alla direzione creativa di Benetton è all’insegna di quella freschezza transgenerazionale, multietnica e inclusiva che da sempre caratterizza il marchio. Certo, la gloria degli anni di Oliviero Toscani e di Colors non è ripetibile, ma Incontri svolge il compito con diligenza. Si attendono, per il futuro, i guizzi.
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