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Come cresce il capitale reputazionale

di Vittorio Pelligra

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8 dicembre 2017
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4' di lettura

Nel novembre del 1997, per tre sere consecutive, la Cbs di Los Angeles, mandò in onda un’inchiesta giornalistica sulla qualità dei ristoranti della contea intitolata “Behind the Kitchen Door”. L’inchiesta si concentrava sul livello di igiene rilevato nelle cucine dei ristoranti. Ne emergeva un quadro sconcertante che metteva in luce una condizione igienica inaccettabile per un gran numero di esercizi commerciali. Ma gli americani, si sa, sono pragmatici e hanno i riflessi pronti. Era novembre quando le trasmissioni andarono in onda, meno di un mese dopo, il 16 dicembre, il Board of Supervisors, l’organo di governo ella Contea di Los Angeles, decise di varare un’ordinanza che introduce l’«hygiene grade card». Con tale provvedimento si stabilisce che ogni ristorante della contea di Los Angeles avrà l’obbligo di esporre sulla porta d’ingresso un cartello recante una lettera, A, B o C, che rappresenta il “voto” ottenuto nell’ultimo controllo sanitario svolto dall’autorità di vigilanza sulla qualità igienica della sua cucina. Da quel momento si decide che non solo ogni ristorante dovrà essere sottoposto a regolari controlli ed eventualmente sanzionato in caso di violazione delle norme, ma anche, e qui sta la novità, che i risultati di tali ispezioni siano resi pubblici e facilmente interpretabili dai consumatori, attraverso il sistema dei voti.

In questo modo l’incentivo all’elevamento degli standard igienici da parte di ogni attività di ristorazione diventa duplice: da una parte, cercare di evitare l’eventuale sanzione del regolatore pubblico, dall’altra evitare la perdita di reputazione e la conseguente sanzione da parte dei consumatori, equivalente ad una perdita di clientela. Gli effetti dell’ordinanza furono immediati e rilevanti: dopo pochi mesi la qualità complessiva dell’igiene si incrementò notevolmente, soprattutto grazie al contributo dei ristoranti di qualità inferiore, quelli cioè che rischiavano di più in termini di clienti persi, che dopo pochi mesi avevano già adeguato i loro standard a quelli dei ristoranti migliori. L’impatto fu così evidente, che fu possibile misurarlo anche attraverso il numero di ricoveri ospedalieri per problemi gastrointestinali legati al cibo. Questi diminuirono nel primo anno del 6 %, nel secondo di un ulteriore 13 % e nel terzo ancora del 12 %. Nel 1998 solo il 58% dei ristoranti aveva ottenuto una A, il voto più alto; nel 2003 arriviamo all’83 %.

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Se oggi andate a Los Angeles, ma anche a New York e in molte altre città degli Stati Uniti, potete utilizzare con vostro cellulare delle app che vi segnalano oltre al nome dei ristoranti più vicini a voi e le loro specialità, anche il livello di igiene delle loro cucine. Poi voi siete liberi di scegliere quanti rischi correre. “Scores on the doors” ha censito mezzo milione di locali nel Regno Unito utilizzando parametri simili e la stessa logica del “mercato reputazionale”.

Se fino a non molti anni fa, affinché questo meccanismo potesse operare occorreva una serie ripetuti di incontri – si pensi al macellaio, al meccanico, al sarto, al parrucchiere di fiducia – nella quale la tentazione della “fregatura”, sempre in agguato, veniva controbilanciata dal rischio di perdere un cliente, oggi, con la diffusione della rete e la disponibilità di dati a costo-zero, la stessa logica basata sul potere della reputazione è applicabile su scala globale; il successo di Amazon, eBay, Alibaba e altri colossi dell’e-commerce è in larga misura legata a questo meccanismo di assicurazione contro i “furbi”.

Nasce oggi in Italia un’interessante iniziativa che si propone di utilizzare lo stesso meccanismo per consentire ai consumatori di premiare, attraverso il loro “voto col portafoglio”, le imprese che non solo forniscono beni di qualità, ma che sono sostenibili da un punto di vista sociale ed ambientale. Si tratta di Eye On Buy, una piattaforma web che sta raccogliendo adesioni di cittadini e imprese disposte ad auto-valutarsi e a farsi valutare dai consumatori. Tali valutazioni pubbliche andranno a formare il “capitale reputazione” delle imprese che in base ai loro comportamenti più o meno apprezzati dai consumatori potranno ricevere un premio o una sanzione in termini di maggiori o minori vendite. Oltre alla sostenibilità dell’impresa, Eye On Buy valuterà anche la qualità e la velocità delle risposte delle imprese ai reclami e in generale il feedback dei clienti. Aggregati insieme tutti questi fattori comporranno una carta d’identità con la quale l’impresa si presenta sul mercato, e sappiamo oggi quanta attenzione ci sia per simili temi. Non solo la qualità del prodotto viene valutata, ma anche a tutto ciò che sta dietro.

Una recente indagine Nielsen riporta, per esempio, che il 56% dei consumatori a livello mondiale si informa sul livello di responsabilità delle imprese da cui acquista beni e servizi, il 52% ha effettuato almeno un acquisto da un’impresa responsabile dal punto di vista sociale e ambientale negli ultimi sei mesi e il 55% è disposto a pagare qualcosa in più per premiare un’impresa impegnata a livello sociale e ambientale. Questo naturalmente rappresenta un valore enorme per i produttori, che può essere utilizzato al meglio, però, solo se comunicato in maniera realmente credibile e riconosciuto. I mercati reputazionali svolgono questa funzione: danno maggiore potere ai consumatori e premiano le imprese migliori, in una logica di economia civile nella quale il mercato può diventare sempre più, come auspicava già a fine settecento Antonio Genovesi, un luogo di “mutua assistenza” e di reciproco vantaggio.

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