Moda
Pubblicità

Moda

Dior glorifica le «streghe» femministe, da Saint Laurent glamour combattivo

di Angelo Flaccavento

Immagine non disponibile
(Associated Press/LaPresse)

(Associated Press/LaPresse)

Chiuri tenta nuove acque: abrase, stropicciate, acciaccate. Ma sembra una stilosa messa in scena. In passerella anche il debutto Peter Do con il suo tailoring intonso

27 settembre 2023
Pubblicità

2' di lettura

La moda, al momento, è ossessionata dai contesti, o forse meglio dalle cornici, quasi che queste, per irradiazione o semplice magia, potessero dare nuovo valore ai vestiti. È una scorciatoia di significato che se da un lato appaga gli occhi, dall’altro non soddisfa il pensiero, perché sovente priva di rigore.

Lo show Dior ieri ha aperto la lunga fashion week parigina all’insegna di una polisemia alquanto confusa, e più che altro confondente. Da un lato il set violentemente pop: video-animazioni dei collage di Elena Bellantoni che esagerano per sbeffeggiarlo l’immaginario trito e triviale delle pubblicità sessiste. Dall’altro il fervore femminista di Maria Grazia Chiuri, e la glorificazione, a parole, della strega, intesa come figura antinormativa, donna che si oppone alla schematizzazione della cultura maschilista. Al centro, in fine, i vestiti, per di più con il marchio Dior e tutto quello che, in termini di cultura e società, esso puó comportare - le ladies che lo indossano paiono in larga parte indifferenti a tutta la narrativa elaborata a latere; vogliono i vestiti e le borse, così ben fatti, così di lusso, così immediatamente connotanti come upper class. Ed è sui vestiti che ci concentreremo. Al netto di qualche evidente Pradismo, e in osservanza di una certa grazia ladylike che è nel DNA, Chiuri tenta nuove acque: abrase, stropicciate, acciaccate. Il primo look è a clessidra come da copione, ma la camicia bianca sbuca in modo disordinato dalla giacca nera, e non è stirata. È così dall’inizio alla fine: una ruvidità di ascendenza quasi medievale che porta un frisson pauperista laddove la possibilità di spesa è in verità senza fondo. Ecco allora le giacche con gli orli sfilacciati, i tulle pesti e l’idea generale di eleganza in tempo di carestia. Seppur ben eseguita, sembra una stilosa messa in scena e nulla più.

Pubblicità

La ruvidità di Vaquera, a confronto è reale, autenticamente abrasiva, perché radicata nella cultura metropolitana degli outcast, così come il tailoring intonso di Peter Do, che per il debutto in passerella a Parigi decide di rompere la precisione con una liquida sensualità. È un primo passo, che necessita affinamenti. Da Saint-Laurent, infine, la grandeur da madame parigina cede il passo ad una opacità che non è pauperista, bensì pragmatica. La collezione è quasi per intero di cotone, in una gamma militaresca di kaki, verde marcio, verde militare, nero. Ripescando la sahariana, e quanto essa rappresenta per la maison in termini di spirito ribelle e pacifista, Anthony Vaccarello parte per un viaggio tutto suo e da un armamentario estetico sostanzialmente guerresco - tute, trench, cuffie da aviatore - estrae una celebrazione di bellezza ed eleganza piena di pathos. L’espressione è tagliente, ma gli angoli a questo giro sono smussati. Il glamour della donna Saint-Laurent, così, acquista una fierezza morbida, una combattività muliebre che conquista.

Riproduzione riservata ©
Pubblicità
Visualizza su ilsole24ore.com

P.I. 00777910159   Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie  Privacy policy