(Imagoeconomica)
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«L’audizione della persona offesa entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato ha un alto valore simbolico ed è corretto individuare delle soluzioni perché venga eseguita in modo completo e sostanziale. Ma bisogna tenere presente che quando in Procura una persona offesa non viene sentita nei termini, a volte, è perché non si riesce; e, dato che le risorse sono limitate, si privilegiano altre attività per tutelare chi è in pericolo».
Mette l’accento sul nodo risorse Cesare Parodi, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Torino e coordinatore del gruppo Reati contro le fasce deboli.
È vero, come afferma la relazione illustrativa alla legge 122/2023, che il termine dei tre giorni per sentire le persone offese non sempre viene rispettato?
Il tema si pone, soprattutto nei grandi uffici: il numero delle segnalazioni per cui deve essere disposta l’audizione entro tre giorni è elevato e le risorse non sono adeguate. La persona offesa viene sempre sentita dalla polizia giudiziaria, che viene formata per farlo, e nei casi più gravi dal magistrato. Ma occorre valutare caso per caso: non sempre risentire la persona offesa è proficuo dal punto di vista investigativo; può essere più utile cercare documenti o testimonianze per raggiungere il vero obiettivo delle norme contro la violenza domestica e di genere, che è la tutela effettiva delle persone offese.
La nuova legge è un aiuto?
È giusto che il Procuratore della Repubblica possa revocare l’assegnazione al magistrato che non procede all’ascolto. Ma la revoca è un istituto già esistente prima di questa legge, creato per risolvere i contrasti interni all’ufficio sulla gestione dei fascicoli, che possono esistere, ma sono eccezionali. Non affronta invece il problema delle risorse: se in una Procura un magistrato non riesce a sentire una persona offesa perché ha troppi fascicoli non è detto che passando il caso a un suo collega la situazione cambi.
Come si tutelano le persone offese?
Il nostro ufficio nell’ultimo anno ha chiesto 900 misure cautelari per questi reati: nei casi più gravi il carcere, o l’allontanamento o il divieto di avvicinarsi. Ma ogni situazione è a sè: a volte prescrizioni e divieti, anziché aiutare, esasperano gli animi.
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