di Gianni Rusconi
(EPA)
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Nell’era dell'intelligenza artificiale generativa, le riflessioni su come “accogliere” le potenzialità di questa tecnologia e abbinarle alle capacità proprie dell'essere umano si sprecano. L'intento (lodevole almeno sulla carta) è quello di tracciare una linea guida che suggerisca il modello di condotta ideale per lavorare con gli algoritmi e su questa tema si è espresso l'Osservatorio di Tack TMI Italy (branch italiana di Gi Group Holding, multinazionale italiana attiva nel campo delle soluzioni di Learning & Development), che ha rilevato come oggi solo il 20% delle aziende (una su cinque dunque) stia investendo in progetti formativi rivolti a potenziare le competenze umane necessarie per affrontare l’ibridazione uomo/macchina.
Gli ambiti di applicazione di questo (nuovo) paradigma ormai li conosciamo, riguardano diverse funzioni aziendali e spaziano dalla robotica industriale alla gestione automatizzata dei magazzini, dalla manutenzione predittiva all'office automation, dagli assistenti virtuali alle chat bot. E l'integrazione delle nuove tecnologie in azienda, come recita il World Economic Forum, porterà a una profonda trasformazione del mondo del lavoro.
Come affrontare queste sfide? Una strada, come suggerisce Irene Vecchione, Amministratore Delegato di Tack TMI Italy, è quella di focalizzarsi sulle competenze umane ritenute più strategiche per interagire con l'intelligenza artificiale nei diversi processi aziendali. Parliamo di pensiero critico ed intelligenza emotiva, di collaborazione, adattabilità e creatività.
C'è chi la ritiene un alleato dell'uomo e chi un potenziale nemico: a suo giudizio qual è la definizione più corretta dell'AI?
In un dibattito articolato in cui solo lo stretto connubio uomo/macchina potrà essere vincente e over performante rispetto al solo fattore umano o alla sola macchina in tutti i campi, ritengo l'intelligenza artificiale un co-pilota da gestire. Non è pienamente trasparente, rielabora i dati che subiscono i bias cognitivi che noi stessi le abbiamo trasmesso. Rielabora, ma non genera. Considerando poi un certo grado di prevedibilità, il ruolo delle competenze umane è fondamentale per mantenerne il controllo e decodificarla al meglio.
Facciamo qualche esempio.
La creatività aiuta a superare i limiti dell'AI, come la mancanza di comprensione del contesto, di generazione di nuove idee e di identificazione di soluzioni innovative a problemi complessi. Solo con l'intelligenza emotiva, inoltre, si possono tenere ingaggiate le persone: una competenza simile non è trasferibile a un bot e anzi si correrebbe il rischio di generare soluzioni o risposte standardizzate poco utili alla persona. Tramite la collaborazione, intesa come l'abilità di lavorare “in team” con l'intelligenza artificiale, si può infine migliorare l'efficienza e la produttività del lavoro di squadra.
Come dovrebbe interpretare questa tecnologia un professionista delle Hr?
Lo scenario è sicuramente complesso, ma per affrontare le sfide che attendono la workforce il primo passo è trovare un equilibrio tra il fattore umano e l'intelligenza artificiale. L'ibridazione, infatti, sarà la via sostenibile sia per le aziende sia per i lavoratori: le prime dovranno essere in grado di formare le proprie persone per gestire al meglio le potenzialità dell'AI, compresa quella generativa, i secondi dovranno rafforzare queste skill ancora di più rispetto al passato per essere allineati alle innovazioni aziendali e alle richieste del mercato. Nel contesto attuale, in cui la forbice tra competenze possedute e skill richieste è sempre più ampia, la formazione svolge una funzione essenziale per l'impiegabilità delle persone e la competitività generale delle imprese. Per questo motivo siamo tutti chiamati a tenere il focus sull'apprendimento: gli individui per se stessi, sviluppando senso di responsabilità, abitudine e attitudine al self-learning, le organizzazioni costruendo contesti che favoriscano un apprendimento continuo e diffuso.
Meglio puntare su competenze tecniche o su soft skill per formare le persone a utilizzare gli algoritmi?
Bisogna distinguere tra chi progetta l'AI, che ha naturalmente bisogno di maggiori competenze hard, e chi la utilizza. È fondamentale comprendere che se l'intelligenza è artificiale, le skill per farla funzionare al meglio restano e resteranno quelle umane, e quindi le cosiddette competenze trasversali o soft, che oggi sono fondamentali e solide quanto quelle tecniche, seppur da implementare in una nuova ottica. Il pensiero critico, in particolare, è fondamentale per comprendere le limitazioni dell'AI, ed altrettanto importante per le aziende è la capacità di identificarne le possibili implicazioni etiche e sociali.
Come si allenano pensiero critico, adattabilità e creatività di un senior manager in ambito sales o procurement?
Si costruiscono e si allenano attraverso l'apprendimento continuo e diversificato nelle modalità e nelle metodologie: non solo formazione formale dunque, ma anche social e peer learning, coaching e counseling possono essere strumenti molto utili, soprattutto per i senior manager. Il segreto è essere open-minded, curiosi e desiderosi di imparare, e consapevoli che se blocchiamo le iniziative individuali per l'apprendimento blocchiamo anche la nostra carriera. È importante comprendere che queste skill possono aiutare le persone non solo a lavorare efficacemente con l'AI, migliorando per esempio la capacità di interpretazione dei dati, ma anche a rispondere alle richieste delle organizzazioni impegnate a creare ambienti di lavoro positivi e produttivi.
I leader di domani possono fare a meno dell'AI?
L'intelligenza artificiale fa parte di quei processi evolutivi inarrestabili e ineludibili con cui dover fare necessariamente i conti. Certamente dovremo approfondirne le evoluzioni, le potenzialità, i rischi e i pericoli, ma pensare di farne a meno è inutile: siamo già utenti dell'AI, pur non avendolo chiesto o scelto, fa parte dell'evoluzione tecnologica. Tanto vale, dunque, capire come utilizzarla al meglio e quanto prima, al fine di migliorare e/o efficientare processi ed evolvere come singoli e organizzazioni. Come leader va tenuta ferma la visione di impresa che si intende essere o diventare, centrata sul futuro, sui valori e sulle strategie su cui si vuole investire tempo ed energie. La sfida è proprio qui: trovare la chiave per evitare di subirla e per guidarla con l'obiettivo di perseguire il bene comune.
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