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Dalla lista del Cda al voto multiplo, ok della Camera al ddl capitali

Da Fs all'Anas, si riapre la partita delle nomine

I sì sono stati 135, astenute le opposizioni. Il provvedimento dovrò tornare in terza lettura al Senato dopo una correzione in Aula attraverso un emendamento che modifica una copertura di circa 200mila euro. Ma a Palazzo Madama l’esame dovrebbe essere molto rapido anche perché in terza lettura si riapre solo la parte modificata

7 febbraio 2024
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4' di lettura

Via libera della Camera al ddl per la competitività dei capitali con 135 sì, un contrario e 92 astenuti (le opposizioni: Iv, Avs, Az, M5S e Pd). Il provvedimento, già approvato da palazzo Madama, dovrà tornare in terza lettura al Senato dopo una correzione in Aula attraverso un emendamento che modifica una copertura di circa 200mila euro da spostare dalla competenza 2023 a quella 2024che insisteva ancora sul 2023. A Palazzo Madama l’esame dovrebbe essere molto rapido perché, come da regolamento, in terza lettura si esamina solo la parte modificata dalla Camera senza riaprire il resto del testo.

Il ddl «oltre ad attirare gli investimenti nel nostro Paese, dà anche la possibilità ad aziende e marchi storici, che negli anni hanno trasferito la sede all’estero, di ritornare perché potranno avere anche qui quelle garanzie contro le scalate ostili» ha ricordato il relatore del provvedimento Francesco Filini (FdI) nella replica alla discussione generale nell’aula della Camera. «Non voglio fare nomi - ha spiegato - ma come capita di leggere sui quotidiani alcuni grandi e storici marchi (Ferrari ndr) possono ritornare in Italia» dopo la conversione del decreto.

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Il disegno di legge contiene interventi a sostegno della competitività dei capitali, nonché l’introduzione dell’educazione finanziaria nelle scuole. Dopo l’approvazione alla Camera si aprirà il cantiere della riforma del Tuf (Testo unico sulla Finanza) per la quale il governo ha una delega di 12 mesi. Una revisione invocata da tempo dal mercato e dagli operatori economici per un testo che data oramai al 1998 sebbene fosse molto avanzato per l’epoca quando fu messo a punto dall’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi.

Nuove norme per il rinnovo dei cda delle società quotate

Cambia la disciplina della presentazione delle liste da parte del consiglio di amministrazione delle società quotate in occasione del rinnovo degli organi apicali. Si consente allo statuto societario di prevedere che il consiglio di amministrazione uscente possa presentare una lista di candidati per l’elezione dei componenti del medesimo organo di amministrazione, purché, tra le altre condizioni, essa contenga un numero di candidati pari al numero dei componenti da eleggere maggiorato di un terzo. Viene disciplinato, in dettaglio, il numero dei consiglieri spettanti in base ai risultati ottenuti dalla lista dei consiglieri uscenti. L’applicazione delle disposizioni introdotte è prevista a decorrere dalla prima assemblea convocata per una data successiva al 1° gennaio 2025.

Il voto multiplo

È inoltre incrementa da tre a dieci il numero di voti che può essere assegnato, per statuto, a ciascuna azione a voto plurimo.

Sale a 1 mld la soglia di capitalizzazione massima per le Pmi

Tra le varie norme viene modificata la definizione di Pmi, ai fini della regolamentazione finanziaria, portando a 1 miliardo di euro la soglia di capitalizzazione massima prevista (rispetto all’attuale soglia di 500 milioni di euro di capitalizzazione che qualifica una impresa emittente quote azionarie come Pmi).

Semplificate le procedure di ammissione alla negoziazione

Sono poi introdotte alcune semplificazioni delle procedure di ammissione alla negoziazione, anche attraverso l’eliminazione di particolari requisiti per la quotazione. In particolare, viene soppressa la possibilità riconosciuta alla Consob di regolare con propri regolamenti i requisiti di alcune società in quotazione e di sospendere per un tempo limitato le decisioni di ammissione. È poi soppresso l’obbligo vigente di segnalazione alla Consob delle operazioni effettuate da parte degli azionisti di controllo.

Alzato il limite dell’attivo delle banche popolari

Viene poi innalzato il limite dell’attivo delle banche popolari da 8 miliardi di euro a 16 miliardi di euro. Una norma quest’ultima aspramente criticata dal deputato di Italia Viva Luigi Marattin. «La riforma delle banche popolari del 2015 è stata una delle più apprezzate della stagione del governo Renzi: ora anch’essa cadrà vittima della furia restauratrice e anti-mercato» scrive su X Marattin, a proposito del ddl Capitali. «Una delle riforme strutturali più apprezzate del governo Renzi fu l’obbligo per le banche popolari con attivi patrimoniali superiori agli 8 miliardi (quindi non certo ’banchette di quartiere’) di trasformarsi in società per azioni. La logica era quella di abbandonare la logica cooperativa del “una testa, un voto” (che va bene per le banche di prossimità) e diventare realtà contendibili di mercato. Grazie a quella riforma, strenuamente avversata da settori del mondo bancario, non solo abbiamo creato il terzo gruppo bancario nazionale ma abbiamo notevolmente rafforzato la stabilità finanziaria. Nel passaggio al Senato del ’Ddl Capitali’ - in discussione oggi alla Camera - la maggioranza ha di fatto cancellato gli effetti futuri di quella riforma, elevando da 8 a 16 miliardi il tetto dell’attivo entro cui è obbligatorio il passaggio da banca popolare a società per azioni. Probabilmente ci saranno alcune banche che stanno pensando di fondersi (e questo va bene) ma che vogliono rimanere con ’una testa, un voto’ anche se di dimensioni ragguardevoli (e questo va molto meno bene)», conclude.

Respinta norma su tetto massimo stipendi manager

Da segnalare infine che sono stati respinti due emendamenti identici presentati dai parlamentari di Alleanza Verde Sinistra e firmati da Andrea Orlando del Pd che fissavano un tetto massimo al compenso dei manager delle grandi aziende. Le proposte di modifica bocciate, presentate al ddl sulla competitività dei capitali, prevedevano che questo non fosse superiore di 50 volte quello degli operai. Il compenso dell’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares, ha spiegato Marco Grimaldi di Avs, «è superiore di oltre 1.000 volte quello di uno dei nostri operai e questo è inaccettabile».

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