Una scuola per capire meglio il Meridione
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Flavio Felice
(Professore di Storia dele dottrine politiche, Università del Molise)
La stagione estiva può essere anche il momento dell’anno in cui potersi dedicare alla formazione in maniera conviviale, rinunciando al formalismo accademico, per far emergere il lato più umano della circolarità del sapere. È questa l’esperienza che si rinnova ogni anno a Montenerodomo (CH), un piccolo paese ai piedi del massiccio della Maiella, dove dal 15 al 20 luglio, presso il parco archeologico di Jovanum, si terrà la terza edizione della Scuola estiva, promossa dal Centro Studi per i Problemi del Mezzogiorno, realtà che nasce nell’ambito delle attività del Parco Letterario Benedetto Croce e l’Abruzzo.
Il programma della Scuola è incentrato sui temi dello sviluppo delle aree interne del Meridione e ospiterà studentesse e studenti provenienti da diversi atenei del Centro e del Sud Italia. In particolare, saranno presenti in forma stabile studenti e docenti delle università Federico II di Napoli, di Campobasso (Unimol), di Teramo, dell'Aquila e della Gabriele D'Annunzio di Chieti-Pescara, oltre a numerosi docenti invitati da altri atenei.
Analizzando il programma, emerge il tema introduttivo che sottolinea l’intenzione di voler aggredire sin dall’inizio un aspetto delle scienze sociali e delle politiche pubbliche particolarmente importante e delicato, data le condizioni in cui versano le aree interne del nostro Meridione. Nella sessione “Radici e idee”, si affronterà la questione dei beni comuni e della loro amministrazione. A partire dalla lezione del giurista Giuseppe de Thomasis (1767-1830), originario di Montenerodomo e ripartitore dei beni feudali e demaniali per l’Abruzzo, si discuterà della governance dei commons e del ruolo delle istituzioni della società civile, come risposta concreta alla “tragedia” delle scelte pubbliche, strette nella morsa ideologica tra pubblico e privato.
Proprio intorno a un simile tema, crediamo sia possibile offrite un’interpretazione non convenzionale. A partire dalla lezione del premio Nobel per l’economia, la politologa Elinor Ostrom, secondo la quale in innumerevoli circostanze «si mette in comune, si condivide e si coopera» perché questa appare la soluzione strategica economicamente più vantaggiosa, possiamo affermare, con il filosofo Carlo Lottieri, che «I commons emergono non contro la proprietà, ma grazie ad essa».
Proprio Lottieri, riprendendo il titolo di un fondamentale lavoro di Paolo Grossi, mutuato da un’espressione di Carlo Cattaneo: “Un altro modo di possedere”, propone una lettura pluralistica degli assetti proprietari; si tratta della nozione di bundle of sticks di W.N. Hohfeld che disarticola la nozione di proprietà in una serie di titoli. I «beni comuni» non sono presentati come un’alternativa alla proprietà, ma come una loro forma specifica: un’istituzione che è in grado di «erodere spazio alla sovranità forgiata dall’assolutismo» e di ridimensionare il perimetro del potere esercitato dall’autorità potestativa; una tale interpretazione necessita di un’analoga reinterpretazione della nozione di sovranità, oltre che di proprietà, disarticolata per funzioni, secondo lo schema del bundle of sticks.
Qui risiede il punto nodale: la consapevolezza che una specificità dei domini collettivi consiste nel fatto che essi esprimono una comunità liberamente solidale e, nel contempo, un’istituzione di natura civile, all’interno, e non al di sopra della quale, è posta la sfera politica. I commons, in quanto istituzioni civili, sono favoriti dalla presenza di società federali, lì dove è più difficile che vengano assorbiti dal potere statale, poiché tali istituti prosperano all’interno di un quadro giuridico che valorizza l’arte dell’autogoverno e il pluralismo istituzionale.
In definitiva, una tale interpretazione dei commons evidenzia innanzitutto la duttilità e il pluralismo dell’istituto della proprietà; in secondo luogo, è in grado di rimarcare come le proprietà condivise non neghino le logiche del mercato; in terzo luogo, mostra come i beni comuni siano uno dei pilastri di un sistema sociale plurarchico, per dirla con un concetto sturziano, ovvero democratico in quanto poliarchico.
I tre aspetti appena menzionati, mostrano il rapporto tra proprietà e comunità, un legame che potrebbe esaltare le caratteristiche e la vocazione di un territorio in grande sofferenza, sospeso tra un glorioso passato e un futuro incerto.
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