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Matteo Messina Denaro: ecco come la mia famiglia si è arricchita con il traffico di beni archeologici

di Nino Amadore

Messina Denaro ricoverato in ospedale a L'Aquila

Agli inquirenti il boss spiega come il padre avviò un lucroso traffico di beni archeologici siciliani

9 agosto 2023
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5' di lettura

Monete d’argento, vasi greci, statue e altro ancora. Tutti provenienti dai siti archeologici siciliani: Selinunte, in particolare, che si trova proprio nel territorio del comune di Castelvetrano, feudo della famiglia Messina Denaro. Una storia nota quella della passione dei Messina Denaro per l’arte e i beni archeologici. Così come è nota la loro attività nell’ambito del traffico internazionale di beni archeologici e opere d’arte. Ma è la prima volta che qualcuno di loro ne parla e racconta. Non uno qualsiasi ma Matteo Messina Denaro che con i magistrati Maurizio De Lucia e Paolo Guido a modo suo non si sottrae anzi appare abbastanza ciarliero quando gli torna utile. Soprattutto per negare e sviare l’attenzione.

Lui, Matteo lo spietato, nel verbale di interrogatorio dello scorso 13 febbraio davanti ai magistrati di Palermo e i militari del Ros, nega gli omicidi e le stragi, ammette di essere «uomo d’onore» ma non nel senso di appartenente alla mafia e racconta le origini del benessere della sua famiglia. Grazie al traffico di beni archeologici portato avanti da don Ciccio Messina Denaro, il padre, anche lui protagonista di una comoda ma strana latitanza. Don Ciccio, il campiere, che per passione diventa un grande esperto di cultura greca e latina, di arte e manufatti antichi.

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«Sta tutta lì – sembra dire Matteo Messina Denaro – l’origine della ricchezza di famiglia». Altro che estorsioni, traffico di droga, omicidi e stragi. Ci sarebbe persino da ridere se non si trattasse della tragica storia di un uomo, della sua famiglia, di un pezzo disgraziato di questa Italia, della storia dolorosa e tragica del nostro Paese di cui il boss catturato dai carabinieri il 16 gennaio di quest’anno è stato uno dei protagonisti principali. Lui nega fino a definirsi, in qualche modo, «un criminale onesto»: anche qui un tragico ossimoro. «Io sono un appassionato di storia antica – dice Matteo Messina Denaro ai magistrati –. Mio padre era un mercante d'arte quindi io dove ci sono io c’è Selinunte. Mio padre non è che andava a scavare però a Selinunte. A quell'epoca c’erano mille persone e tutte e mille, pure le donne, scavavano di notte. Quelle che non scavavano di notte scavavano di giorno con la Sovrintendenza dello Stato, però cosa facevano in più (ora magari non si può fare più), che quando con l’ascia vedevano uscire qualcosa con il piede coprivano e poi la notte ci ritornavano a prendersele. In genere il 100% di queste cose li comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e poi arrivavano dalla Svizzera dovunque in Arabia negli Emirati Arabi, in America. Noi vedevamo cose che passavano da mio padre nei musei americani non so come poi ci sono arrivati nei musei però poi si partiva tutto dalla Svizzera».

È la storia del saccheggio dei beni culturali siciliani raccontata da un protagonista

Certo definire don Ciccio Messina Denaro «mercante d’arte» sembra persino eccessivo ma a un cuore di figlio che si può dire. «Suo padre era uomo d’onore?» gli chiedono i magistrati. E lui, Matteo: «Non gliela feci mai questa domanda». «Mio padre – racconta Matteo Messina Denaro – aveva la seconda elementare però non so perché negli anni 60, io nemmeno ero nato, si appassionò a ste cose e diventò veramente un...venivano da tutte le parti per consigli perché succedeva pure una cosa le spiego ci sono dei vasi di ceramica che si chiamano lekythos per esempio che li trovavano senza figure allora in Sicilia c’è un luogo Centuripe vicino Catania tra Enna e Catania che questi che fanno. C’è qualcuno che sa mettere le figure allora che facevano. Il vaso senza figura con lekythos ad esempio così ai tempi andava dai 2 ai 3 milioni di lire se ci mettiamo le figure diventa 20-30 milioni o 40 milioni. Loro cosa facevano a Centuripe, solo a Centuripe gli facevano i disegni e li sotterravano: dopo 4 5 anni li toglievano e non c’era più come si stabiliva poi. Perché il pezzo era originale la ceramica». Il furto e la truffa nello stesso tempo ma a Don Ciccio non interessava: lui comprava tutto e rivendeva sui mercati internazionali. «Era un reato però perché io noi sappiamo che i beni che sono sottoterra appartengono allo Stato però non ce ne fregava niente» dice ancora Matteo Messina Denaro ai magistrati.

Il boss, quando vuole, parla senza freni. E infatti racconta: «Nel '78 io avevo 16 anni ho trovato un vaso pieno di monete vede che quello che sto dicendo è verità. Parliamo di monete d'argento. Che cosa succede: le monete si trovavano così sparse per terra con i metal detector invece i vasi no: dovevi scavare le tombe. Però chi scavava, i tombaroli erano bravi conoscevano allora che cosa succede. Che quando c’era qualcuno nell’antichità, qua parliamo nel VII secolo a.C. quindi si parla 2600 anni fa che
cosa succede quando c’era qualcuno ai tempi che faceva collezione o qualcuno tirchio che metteva tipo a salvadanaio dentro un vaso, un vaso in genere o di metallo o di ceramica se si trovava questo le monete all’interno erano tutte nuove tutte nuove perché in 2600 anni non si faceva una patina e poi era un grappolo così tipo un grappolo d’uva tutte incollate e poi c’era il sistema per scollarle. Di questi ne sono state trovate fino a quando ci siamo stati noi 8: 7 sono passati da mio padre uno no perché chi li trovò se ne andò direttamente in Svizzera a venderli. Comunque quello del '78 per farle avere un’idea quello del '78 una sera io avevo circa 16 anni venne marito moglie e due figli che furono quelli che trovarono e li misero tutti lì erano circa 700 monete tutte d’argento nuovissime perché non avevano avuto uso e mio padre li comprò 800 milioni di lire (siamo nel
'78) ma mio padre non è che aveva 800 milioni di lire in tasca allora gli fece un assegno a garanzia di 800 milioni e loro una volta alla settimana venivano e si prendevano 50 milioni fino alla risoluzione del debito. Il momento in cui fu tutto pagato si strappò l’assegno. Poi mio padre non li vendette tutti in unico blocco fece blocchi di 4-5 e prese poco più di 20 milioni di lire (probabilmente venti miliardi, sembra esserci un errore nella trascrizione dell’interrogatorio ndr)».

Che fine hanno fatto quei soldi? «Li abbiamo investiti. In quello che li abbiamo investiti molto ve lo siete presi non lei come Stato il resto che non vi siete preso un po’ era conservato per viverci: noi siamo una famiglia di circa 30 persone la metà in carcere io latitante aerei avvocati: ce ne volevano soldi quindi se ne andavano». La ricerca del patrimonio del boss è destinata a continuare.

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