CREATO PER ENI
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L’energia da fusione è il principio fisico che alimenta le stelle, l’energia che domina l’universo. Una fonte pulita e virtualmente inesauribile, basata su un processo molto diverso rispetto alla fissione nucleare che produce energia sfruttando la scissione di atomi pesanti, come l’uranio.
La fusione, al contrario, consiste nell’avvicinare due atomi leggeri fino a farli fondere tra loro. Un processo capace di produrre un’enorme quantità di energia. Tale reazione si può ottenere attraverso diverse tecnologie, tra cui la più studiata e sviluppata è quella del confinamento magnetico che, come suggerisce il nome, utilizza campi magnetici molto potenti per confinare e gestire il plasma (il gas ionizzato costituito dalla miscela dei due isotopi di idrogeno, deuterio e trizio) in cui avviene la fusione.
L’energia da fusione ha diverse caratteristiche che la rendono molto interessante nel sistema globale. Ad esempio, la reazione di fusione non è soggetta al rischio di divenire incontrollata, perché, al venir meno di anche solo una tra le condizioni che la rendono possibile, essa si spegne spontaneamente.
La fusione sfrutta un processo virtualmente inesauribile perché utilizza come combustibile due isotopi dell’idrogeno: il deuterio, ricavabile dall’acqua di mare e il trizio, che può essere prodotto all’interno del reattore stesso da una reazione fisica con il litio. Inoltre, la quantità di energia prodotta in tal modo è immensa: secondo l’International Atomic Energy Agency (AIEA) la fusione potrebbe infatti generare circa quattro milioni di volte più energia per chilogrammo di combustibile rispetto alla combustione del carbone.
Pensando a possibili future applicazioni commerciali, un altro grande vantaggio dell’energia da fusione è che il processo fisico per produrla non emette gas a effetto serra. È dunque potenzialmente la fonte ideale per contribuire a centrare gli obiettivi della decarbonizzazione ed un potenziale game-changer che potrebbe, una volta portato a scala industriale, contribuire a dare una svolta alla transizione energetica.
Fusione su scala industriale, la grande sfida tecnologica del futuro
Replicare il processo di fusione sulla Terra è tuttavia ancora una sfida complessa, che richiede un compromesso tra alte temperature, tempo di confinamento e altre condizioni. Fino ad oggi la fusione si è concentrata in una dimensione di ricerca, ma nel mondo sono sempre più numerosi i progetti che puntano ad uno sviluppo su scala industriale. Ci sono programmi di ricerca sull'energia da fusione in oltre 50 paesi e il rapporto Fusion Outlook 2023 dell'AIEA indica che nel mondo, ad oggi più di 140 macchine per la fusione, frutto di progetti pubblici e privati, sono in funzione, in costruzione o in fase di progettazione. Ad oggi la maggior parte degli sforzi si concentra sulle macchine a confinamento magnetico come i tokamak o gli stellarator. Ma ci sono anche progetti con approcci differenti, come quelli basati sulla fusione inerziale.
Fra i risultati più incoraggianti raggiunti da progetti pubblici attualmente in corso c’è senz’altro quello del National Ignition Facility (NIF) del Lawrence Livermore National Laboratory negli Stati Uniti che nel 2022, utilizzando un sistema a fusione inerziale, ha ottenuto per la prima volta un guadagno netto di energia di plasma (non per la macchina nel suo complesso). I 69 megajoule di energia da fusione sostenuta e controllata, prodotti lo scorso anno nell’impianto a confinamento magnetico del Regno Unito Joint European Torus (JET), sono un nuovo record a livello mondiale e coronano un progetto durato quarant’anni. Con l'Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST), la Cina nel 2021 ha raggiunto la più lunga operazione in stato stazionario di plasma ad alta temperatura.
Anche il settore privato si evolve in fretta: nel suo rapporto annuale sull'industria globale dell'energia da fusione, l'Associazione dell'Industria della Fusione (FIA) annota che il comparto ha attratto oltre 6 miliardi di dollari di investimenti (circa 3 solo negli ultimi tre anni), accompagnati da una serie di avanzamenti tecnologici. Nel frattempo, il numero totale di player privati nel campo della fusione è aumentato a oltre 40 compagnie, ed è in continua crescita.
Secondo il rapporto FIA, più di 20 aziende del settore prevedono che la prima centrale a fusione potrà immettere energia elettrica nella rete intorno la metà del prossimo decennio, facendo così entrare la fusione nella partita della transizione energetica globale. Le startup private attive nel settore, per propria natura possono assumere maggiori rischi e, al contempo, sfruttare nuove opportunità di finanziamento, accelerando i progressi verso l’industrializzazione e la commercializzazione di questa forma di energia. In tale contesto, tuttavia, la collaborazione tra pubblico e privato, attraverso la condivisione di conoscenze e competenze su scala globale, rimane fondamentale per avanzare verso la piena industrializzazione.
Le competenze italiane in ambito fusione
Centri di ricerca, università all'avanguardia e realtà industriali con competenze fra le più avanzate nel campo della fusione fanno del nostro Paese un attore primario in Europa e nel mondo. Il tessuto industriale italiano è infatti tra i maggiori contributori al progetto intergovernativo ITER, con commesse che ad oggi hanno superato i 2 miliardi di euro. Ricerca e innovazione sono i pilastri fondamentali di questo ambito altamente tecnologico, il cui player industriale più importante è senz’altro Eni. Il colosso energetico italiano, nella propria strategia di transizione e decarbonizzazione, include da tempo la sfida dell’industrializzazione delle nuove tecnologie di fusione, con impegni su più fronti. Il primo è la partecipazione in Commonwealth Fusion Systems (CFS) come azionista strategico. CFS è lo spin-out del Massachusetts Institute of Technology per lo sviluppo industriale della fusione a confinamento magnetico. Il primo reattore dimostrativo, chiamato SPARC, dovrebbe essere completato attorno alla metà di questo decennio. SPARC, farà quindi da banco di prova per lo sviluppo di ARC: la prima centrale elettrica a fusione su scala industriale in grado di immettere in rete elettricità con un processo a zero emissioni di CO₂, la cui realizzazione è prevista entro i primi anni del 2030. Il cane a sei zampe è poi presente anche nel progetto DTT (Divertor Tokamak Test facility) di ENEA, per l’ingegnerizzazione e la costruzione di una macchina a fusione dedicata alla sperimentazione di componenti determinanti per il funzionamento della camera di fusione. Tra le varie collaborazioni, a livello internazionale figura poi quella storica con il MIT, nel programma LIFT (Laboratory for Innovation in Fusion Technology) per accelerare le soluzioni in termini di materiali, tecnologie superconduttive, ciclo del combustibile e controllo del plasma.
Puntare sullo sviluppo industriale dell’energia da fusione, potrà contribuire inoltre a creare nuove opportunità per interi settori produttivi italiani, dalla robotica di precisione, all’elettronica di potenza alla sensoristica, per citarne solo alcuni, che potranno generare occupazione di altissima qualità e specializzazione e una crescita complessiva in conoscenza, competenze e produttività per l’intero sistema-Paese.
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