di Giuditta Giardini
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Nei giorni scorsi il direttore Florian S. Knauß dello Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek di Monaco di Baviera ha rigettato la richiesta della base settecentesca della copia romana del II secolo d.C. della statua bronzea del Discobolo dell’artista greco Mirone, avanzata dal direttore del Museo Nazionale Romano, Stéphane Verger, chiedendo a sua volta la statua stessa, conservata al Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo.
La statua del Discobolo fu rinvenuta il 14 marzo 1781 a Villa Palombara sull’Esquilino a Roma, durante uno scavo richiesto dalla marchesa Barbara Savelli Palombara (1750-1826), ultima rappresentante della famiglia e proprietaria della Villa. Pochi giorni dopo la scoperta del Discobolo gli archeologi e museologi Giovanni Battista ed Ennio Quirino Visconti e più tardi Carlo Fea identificarono la scultura come una copia dell’opera dell’artista/bronzista greco Mirone citato da Plinio. Da quella stessa area, che coincideva con gli Horti Lamiani, ossia i giardini di Lucio Elio Lamia (Tamburro 2023), successivamente sono state rinvenute altre opere poi confluite nelle collezioni nazionali romane. Il Discobolo venne prima trasferito a Palazzo Massimo alle Colonne in corso Vittorio Emanuele II, proprietà del marito della marchesa il principe Francesco Camillo Massimo, dove fu esposto in una sala appositamente creata al piano nobile, e poi portato nel palazzo in via dei Coronari appartenuto alla famiglia eponima della statua, i Lancellotti-Massimo. I Lancellotti si estinsero nei Massimo nel 1865.
Il docu-film “Olympia” di Leni Riefenstahl – disponibile su Youtube – realizzato in occasione delle Olimpiadi cosiddette ‘naziste’ del 1936 (Curcio 2018) e presentato nelle sale il 10 aprile 1938 evoca l’estetica di corpi, esclusivamente maschili, ariani, perfetti, invincibili, senza tempo di atleti che vedono nel Discobolo Lancellotti l’ideale supremo di forza in potenza. La proprietà, con il benestare del Regno d’Italia, aveva concesso l’uso dell’immagine della statua di marmo per il documentario secondo una modalità che oggi, alla luce delle sentenze fiorentine sul David, avrebbe fatto storcere il naso a qualche giudice.
Secondo il Museo Nazionale Romano, dove il Discobolo è conservato a fianco dell’acefalo Discobolo Castelporziano, “nel 1937 Adolf Hitler aveva già inviato a Roma una Commissione speciale per l’acquisto di varie opere d’arte. Il Discobolo Lancellotti figurava in cima alla lista”. Dalla documentazione in possesso del Museo Nazionale Romano risulta come l’opera, in mano privata fosse già soggetta a vincolo dal 1909 a norma dell’articolo 5 della Legge 20 giugno 1909, n. 364 e dell’articolo 53 del Regolamento in esecuzione alle leggi 20 giugno 1909, n. 364 e 23 giugno 1912, n. 688 per le antichità e le belle arti e, pertanto, non poteva lasciare il territorio italiano in quanto di interesse culturale nazionale.
Nel sito del Museo Nazionale Romano si legge di come Mussolini fece da intermediario, “forzando la mano” affinché Hitler ottenesse ciò che più desiderava. La compravendita nulla fu contestata e opposta anche dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Bottai, l’unico che avrebbe potuto autorizzarla, che l’anno successivo, complici queste traslazioni del patrimonio italiano, varò la Legge 1 Giugno 1939, n.1089 sulla Tutela delle cose d’interesse Artistico o Storico che rafforzava la Legge del 1909.
L’acquisto del Discobolo “venne formalizzato il 18 maggio 1938 al prezzo di 16 milioni di lire in contanti [o 5 milioni secondo altre versioni, Tamburro 2023], l’equivalente di più di 15 milioni e mezzo di euro”. Il principe proprietario pare fosse ben contento di potersi disfare dell’opera per quella cifra dato che l’aveva già offerta al Metropolitan Museum di New York. Il 9 giugno dello stesso anno l’opera fece il suo ingresso nella Glyptothek di Monaco di Baviera, come “dono del Führer al popolo tedesco” (Museo Nazionale Romano).
Nel clima di epurazione delle collezioni pubbliche tedesche dalla cosiddetta arte degenerata, Hitler proponeva un modello di arte pura e un ideale estetico a cui il popolo nazista doveva aspirare.
Nel saggio di Umberto Eco nel catalogo della mostra “The Italian Metamorphosis (1943-1968)” al Guggenhaim Museum di New York curata da Germano Celant l’estetica nazista viene definita: “monolitica, omogena e ‘paranoica’”. L’archeologo Paribeni definirà questa ‘fase’ della storia del Discobolo come una triste parentesi (Paribeni, 1949).
Dieci anni dopo, a guerra finita, dopo la firma dell’accordo culturale De Gasperi-Adenauer del 27 febbraio 1953 concernente la restituzione delle opere d’arte all’Italia, il Discobolo fece il suo ritorno a Roma. Il soprintendente Rodolfo Siviero, nominato per l’occasione ministro plenipotenziario per i recuperi di beni trafugati, stilò una lista di beni che venne ratificata dal governo tedesco. Tra questi beni, oltre al Discobolo, si ricordano, per importanza, l’«Annunciazione» del Beato Angelico e la «Danae» di Tiziano finite nel bottino di Göring. La Germania, più tardi, pubblicò nella Gazzetta ufficiale austriaca del 14 agosto 1969 un elenco di più di 2.000 opere ancora giacenti in loro depositi e per le quali occorreva preparare le richieste con la documentazione necessaria e iniziare le trattative di restituzione.
Oggi la pretesa del direttore del museo tedesco non soltanto appare infondata nel merito, da un punto di vista squisitamente giuridico per la presenza di un vincolo o comunque di un accordo bilaterale di restituzione ratificato dal governo tedesco, ma anche in controtendenza rispetto all’approccio della politica museale internazionale contemporanea più incline a restituire opere acquistate in epoca nazista piuttosto che a rivendicare acquisti ‘fortemente voluti’ dal Führer. Inoltre, non si capisce quale sia il diritto vantato dal governo tedesco sulla base della statua, che era già qualificabile come pertinenza del bene-mobile statua ‘vincolato’ e oggetto di restituzione e come tale sarebbe dovuta essere restituita. Inoltre, senza scomodare istituti di diritto privato, anche intesa uti singuli la base, per l’importanza storica che aveva e ha assunto dal XIX al XX secolo dovrebbe essere restituita.
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