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L’intelligenza artificiale nella Pa, ecco come i servizi digitali cambiano faccia.

di Gianni Rusconi

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(kras99 - stock.adobe.com)

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Servono più fondi, competenze e open data

17 novembre 2023
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5' di lettura

Una grande opportunità per migliorare i servizi pubblici digitali: cosa rappresenta l’intelligenza artificiale generativa per la macchina della PA si può sintetizzare anche così. Concetto all’apparenza banale, oltre che arcinoto, ma c’è una differenza rispetto al passato: gli algoritmi che sfruttano i modelli di linguaggio di grande formato hanno il potenziale di rivoluzionare il modo in cui i servizi pubblici digitali vengono progettati, erogati e fruiti. Detto che la sicurezza dei dati personali, la trasparenza sulle policy d’uso e di conservazione delle informazioni e il rispetto delle normative sulla privacy dovrebbero essere componenti assodate e consolidate, il salto in avanti auspicabile si basa sostanzialmente su tre benefici che nascono dal lavoro della Gen AI, e cioè la possibilità di analizzare grandi quantità di dati, di creare applicazioni innovative in tempi molto più rapidi e di ottimizzare i processi decisionali.

La questione del design

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Pochi forse ricordano che già nel Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino, pubblicato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (l’AgID) si evidenziava la necessità di individuare una serie di azioni funzionali ad accompagnare la trasformazione del Paese verso l’adozione dell’AI. Il tema del “design” dei servizi pubblici digitali, insomma, è da tempo al centro del progetto di cambiamento della macchina amministrativa e con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa torna di attualità il tema di come integrare questa tecnologia nella fase di progettazione e ideazione dei servizi rispetto a un preciso obiettivo di fondo: portare innovazione nella Pa non solo dal punto di vista strettamente tecnologico ma anche a livello di processo, per ridurre nell’ambiente digitale il peso delle pastoie burocratiche ben conosciute nel mondo fisico. I servizi pubblici digitali sviluppati con i modelli LLM dovrebbero essere costruiti partendo dalle esigenze del cittadino/utente ed essere accessibili per tutti i soggetti interessati, indipendentemente dalle loro conoscenze tecnologiche o dalle loro condizioni socio-economiche. E questo, fanno notare gli esperti, implica l’adozione di interfacce che consentano di utilizzare i servizi in modo efficace e di comprendere in modo chiaro i criteri adottati dall’AI.

Le possibili applicazioni.

Difficile allo stato attuale comporre una lista definitiva di applicazioni della Gen AI in ambito pubblico, vista lo stato di evoluzione ancora molto liquido della tecnologia, ma in linea di massima rispecchiano quelle che cambieranno, o stanno già cambiando, faccia ad altri settori. La prototipazione rapida di nuovi servizi, con la possibilità di testarne in modalità virtuale l’efficienza e l’efficacia e di ricevere feedback funzionali all’affinamento in tempo reale della soluzione e al miglioramento della user experience del servizio stesso è sicuramente uno di questi. La combinazione fra algoritmi alimentati da intelligenza artificiale generativa e tecniche avanzate di data analytics potrebbe invece costituire una solida base per aumentare il livello di personalizzazione dei servizi digitali della PA, sfruttando le capacità dei modelli LLM di creare soluzioni adattive rispetto alle esigenze di ciascun utente (si pensi per esempio a suggerimenti mirati per la compilazione di moduli e documenti). Chatbot e assistenti virtuali, inoltre, possono alzare la qualità dei sistemi di assistenza ai cittadini che cercano informazioni sui servizi pubblici, rispondendo automaticamente alle domande più frequenti. La Gen AI, ancora, può portare migliorie nella redazione di atti amministrativi e semplificare (ottimizzandola) la gestione documentale delle amministrazioni pubbliche, intervenendo anche come agente intelligente per rilevare eventuali errori, incongruenze o dati mancanti nei documenti ufficiali, suggerendo correzioni in tempo reale, riducendo tempi di attesa e oneri a carico dei cittadini e garantendo assistenza in diverse lingue.

Il caso INPS

Un caso pratico di impiego della Gen AI negli enti della pubblica amministrazione riguarda l’Inps, a cui va la palma di primo ente della Pa italiana ad introdurre gli algoritmi di machine learning nei propri processi operativi, iniziando ad effettuare analisi dati con Gpt sin dal 2021. Il risultato di due anni di esercizio e di applicazione di questa tecnologia? Lo ha confermato di recente (in un’intervista al Corriere della Sera) Vincenzo Di Nicola, responsabile per l’innovazione e la trasformazione digitale dell’Inps: il volume delle Pec in arrivo gestite, che a fine anno dovrebbero toccare quota sei milioni rispetto alle circa tre del 2019, e il salto in avanti quantico della produttività degli operatori, che oggi destinano alla lettura e allo smistamento dei messaggi al funzionario di competenza solo un’ora del loro tempo, mentre in precedenza questa attività richiedeva l’intera giornata.

Un miliardo di investimenti

L’Italia è il secondo paese europeo per numero di progetti nella PA che sfruttano l’intelligenza artificiale ed è il primo in fatto di implementazione: il report “Le opzioni tecnologiche per la digitalizzazione avanzata della Pubblica Amministrazion” presentato qualche settimane fa da The European House – Ambrosetti e Salesforce offre una testimonianza esplicita sulle potenzialità (e sulla pervasività) dell’AI nella nostra macchina amministrativa. I numeri raccolti dallo studio ci dicono infatti che fra il 2010 e il 2021 sono stati registrati nell’area Ue nel complesso 637 progetti legati all’AI e destinati agli enti pubblici, e di questi ben 63 parlano italiano: solo i Paesi Bass hanno fatto meglio, con 116 iniziative, ma la Penisola è in cima alla classifica per quanto riguarda i progetti implementati, 38, circa il 10% del portafoglio europeo. In generale, un terzo delle soluzioni ha l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi rivolti a cittadini e imprese, ma finalità altrettanto importanti sono quelle di snellire processi amministrativi e aspetti burocratici e di simulare gli impatti di policy e normative. Rispetto al resto d’Europa, l’Italia si dimostra invece indietro nell’utilizzo di fondi pubblici per sostenere i diversi programmi: la cifra investita negli ultimi cinque anni è infatti nell’ordine del miliardo di euro, mentre Spagna e Germania hanno speso circa il doppio e la Francia ha stanziato ben 2,5 miliardi per facilitare e supportare l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella PA (lo spending federale degli Stati Uniti in questo campo arriva a 60 miliardi di dollari).

Il gap formativo

Mettere a terra le risorse previste dal PNRR (per la digitalizzazione della Pa sono allocati 6,1 miliardi di euro) è quindi un imperativo come lo è anche l’alfabetizzazione digitale di base e lo sviluppo delle competenze digitali avanzate: oggi in Italia i laureati in corsi di studio afferenti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono 42 mila e sono un numero nettamente inferiore a Polonia (69 mila), Francia (81mila), Spagna (134mila) e Germania (252 mila). Se incrementare il numero di università che offrono corsi di studio in queste discipline, e nel contempo potenziare in modo deciso la formazione in materia di AI, è quindi vitale per assicurare una base di conoscenza necessaria all’uso degli algoritmi, altrettanto strategico è rafforzare il dialogo tra le diverse pubbliche amministrazioni e tra pubblico e privato, con un confronto costante con l’Authority competente per verificare che le nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale vengano adottate in maniera efficace, sicura e responsabile. Il primo passo da fare in tal senso, dati alla mano, è probabilmente sul fronte dell’interoperabilità e dell’adozione di standard comuni per la condivisione dei dati e delle informazioni tra i diversi enti, centrali e locali: nel 2022, l’Italia era al settimo posto fra i Paesi Ue per quanto riguarda la diffusione degli Open Data nel settore pubblico.


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