a cura di Maria Chiara Voci
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Piantare alberi in città è fra le priorità delle agende urbane nazionali e internazionali e mai come in questi giorni di caldo intenso è chiaro a tutti il contributo offerto dal verde per la mitigazione del clima. Passare dalle intenzioni ai fatti significa tuttavia creare programmi e progetti coerenti sia per i nuovi inserimenti sia per la manutenzione del patrimonio vegetale esistente, usare bene conoscenze, mezzi e tecnologie e integrare le giuste professionalità. Anche – e non solo – per impiegare bene le risorse a sostegno di un territorio più green, a partire da quelle, ingenti, stanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che punta per l’Italia al traguardo di 6,6 milioni di nuovi alberi entro il 2024 in 14 città metropolitane.
A livello internazionale, sono sempre di più le città che scommettono su strategie verdi. Da Barcellona (dove obiettivo del comune è realizzare 160 ettari di nuovi spazi verdi entro il 2030) a Londra (che punta a coprire di alberi il 50% della superficie complessiva), a centri più piccoli, come Valencia o Vitoria-Gasteiz, capitale verde europea nel 2012 grazie a un progetto attivo anche nel coinvolgimento della cittadinanza.
Anche nel nostro Paese, sia nel pubblico sia nel privato, le esperienze di successo non mancano. Proprio a Milano, il progetto Forestami porta avanti il duplice obiettivo di sostenere la concreta diffusione del verde nell’area metropolitana, contribuendo anche ad azioni capaci di aumentare la cultura dei cittadini sull’importanza di riallacciare un nuovo legame con la natura. Così a Parma il progetto KilometroVerdeParma segue l’intuizione di creare un corridoio alberato lungo gli 11 km dell’autostrada che attraversa la città. E ancora, l’officina botanica di Firenze dentro la ex manifattura Tabacchi rappresenta il successo di un’iniziativa a vantaggio di un nuovo modello di città. E ancora, a Milano, il caso dei giardini e orti urbani che saranno realizzati in cima alle torri Aler di via Russoli, in via di riqualificazione, spicca come esperienza contemporanea di come il verde possa essere integrato non solo per fare bene all’ambiente, ma anche come innesco di nuova socialità.
Fuori dai casi virtuosi, la sfida da affrontare, tuttavia, è culturale ed è molto elevata. «Programmare l’integrazione del verde in città significa accettare di rivoluzionare i piani del passato – commenta Antonio Perazzi, botanico, paesaggista e curatore scientifico della biennale Radice Pura Garden Festival di Giarre (si veda il pezzo a lato) –. Intanto, occorre prendere coscienza del fatto che, per quanto ci si sforzi, una città resta un ambiente artificiale e non un’area naturalistica. Si sente spesso ripetere come sia opportuno scegliere piante autoctone per la tutela della biodiversità, che certo è da preservare, ma la valutazione è più ampia e deve tenere in considerazione diversi standard».
Il primo passo operativo è la progettazione. «Le variabili sono tante - prosegue Perazzi – dall’ubicazione e la tipologia di terreno, spesso compatto, inquinato o molto minerale, all’eventuale presenza di infrastrutture, che non possono essere intaccate dagli apparati radicali della vegetazione. Su tutte, occorre avere bene a mente il risultato che si vuole ottenere. Per arrivarci, occorre spesso coinvolgere professionalità diverse. Un secondo aspetto riguarda la preparazione di terreni e piante e la messa a dimora. Un suolo povero va arricchito di quel sottile strato fertile di terreno, in genere di poche decine di centimetri, in cui in natura la massa organica accumulata nel tempo crea un impasto adatto a trattenere l’umidità e a far passare l’ossigeno di cui le radici hanno bisogno. Un compito che va affidato a persone preparate. Sbagliare questo passaggio significa compromettere irrimediabilmente il risultato finale». Prosegue Enrico Pinali, perito agrario ed esperto: «Man mano che il clima cambia crescono le variabili in atto e da conoscere. Oggi nei nostri climi si sta manifestando la presenza di insetti patogeni o di infestanti di tipo alieno, come il cosiddetto poligono del Giappone, che non conoscevamo».
C’è poi il tema della manutenzione. «Le potature, per esempio – prosegue Pinali – sono operazioni da affrontare con competenza. Ma non si tratta solo di questo. Dalle reti di protezione delle radici, perché non intacchino le infrastrutture di servizio, alle vasche per la raccolta di acqua, sono tante le tecnologie che si possono usare a vantaggio di un verde sano e capace di coesistere con l’uomo in città. Per realizzare tutto questo però ci vuole conoscenza, esperienza e progettualità».
Maria Chiara Voci
Collaboratrice
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