di Patrizia Maciocchi
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In caso di scioglimento dell’unione civile, nel valutare la durata del rapporto, ai fini dell’assegno va considerato anche il periodo di convivenza come coppie di fatto, anche se avvenuto prima della legge Cirinnà del 2016. Le Sezioni unite della Corte di cassazione, estendono escludono la possibilità di discriminare le coppie composte da persone dello stesso sesso ed estendono alle unioni civili quanto affermato in caso di divorzio per le coppie sposate. E, nel prevedere l’assegno per il partner che alla fine dell’unione non ha mezzi economici adeguati e non può procurarseli, le Sezioni unite chiariscono che il giudice è tenuto a dare un peso alla convivenza che ha preceduto la formalizzazione del rapporto anche se questo si è «svolto tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 76 del 2016». Alle unioni civili viene dunque applicato quanto previsto dalla legge sul divorzio del ’70, così come “applicata” dalle Sezioni unite con la sentenza 35385/2023. Con il nuovo verdetto la Suprema corte ha ribaltato quanto deciso dalla Corte territoriale che non aveva tenuto conto, nel quantificare l’assegno in favore della ricorrente, della perdita di chance che questa aveva subìto a causa di un trasferimento da Venezia a Pordenone e delle scelte professionali compiute in funzione dell’instaurazione del rapporto familiare con la sua compagna, alla quale si era poi unita civilmente. Il no della Corte d’Appello era basato sul fatto che le scelte erano state fatte durante il periodo di convivenza di fatto delle due donne, anteriore sia alla costituzione dell’unione civile sia all’entrata in vigore della legge 76 del 2026 che, ad avviso dei giudici di merito, non avrebbe portata retroattiva nè conterrebbe una disciplina specifica sul punto, ma si limiterebbe a prevedere un assegno alimentare.
Diverso il punto di vista delle Sezioni unite, che ricordano come la stessa Corte europea dei diritti dell’Uomo, già nel 2015, con la sentenza Oliari, aveva condannato l’Italia per non aver rispettato l’obbligo positivo di garantire un quadro giuridico a tutela delle unioni omosessuali. Un verdetto che aveva aperto la strada alla legge Cirinnà, sollecitata anche dalla Corte costituzionale. Per la Cassazione, nelle unioni civili, come nel matrimonio, la convivenza di fatto non può essere guardata come un segmento a sè stante dalla vita familiare, ma come parte integrante di essa. Sempre in considerazione della funzione perequativa compensativa dell’assegno va valorizzato dunque il rapporto stabile, sfociato nel matrimonio come nell’unione civile.
Nè il diritto all’assegno in base alla durata pre vincolo può essere escluso, come fatto dalla Corte d’Appello, in virtù della irretroattività della legge Cirinnà. In caso di scioglimento dell’unione civile, non prendere in considerazione la convivenza anteriore al 2016, data di entrata in vigore della norma, comporrebbe, tra l’altro una disparità di trattamento rispetto a chi poteva comunque scegliere il matrimonio. La decisione di essere solo una coppia di fatto, prima della Cirinnà era infatti l’unica possibile, non essendoci altra strada per persone dello stesso sesso.
La conclusione raggiunta - avvertono le Sezioni unite - è la sola che poteva essere adottata per essere in linea con gli obblighi positivi imposti dalla giurisprudenza di Strasburgo e dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo in tema di rispetto della vita familiare.
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