Fiat Panda, da più di quarant’anni è il punto di riferimento delle utilitarie
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Originale, pratica, piccola ma con un interno spazioso disseminato di soluzioni originali, unica o seconda auto di famiglia ed economica. Queste le caratteristiche dell’utilitaria che a metà degli anni Settanta la Fiat identifica internamente come 141, per essere subito quella che poi è diventata Panda. Caratteristiche che ispireranno tutte le sue discendenti.
Sebbene più alto, il numero è destinato prima a porsi tra il 126 della Fiat più piccola e il 127 della compatta dell’epoca per arrivare, in seguito, a sostituirli. La citycar ha il compito di sbarrare la strada alle partiche ma spartane Citroën Dyane e Renault 4. Per questo motivo inizialmente la 141 doveva chiamarsi Rustica, denominazione poi affibbiata nel 1979 a una versione della 127 in stile cross-country prodotta in Brasile.
Il nome Panda fu un’intuizione geniale ma, indubbiamente, anche fraintesa perché ancora oggi molti pensano che si riferisca al simpatico orso mangione. Nel 1980 lo pensò anche il Wwf che, essendo un’organizzazione per la protezione ambientale, giudicò inopportuno l’abbinamento tra il grosso mammifero che campeggia anche nel suo logo e un’automobile. Nacque un incidente diplomatico con la Fiat che, però, si chiuse in fretta grazie a una cospicua donazione della casa torinese. In realtà, la Fiat scelse Panda ispirandosi a quello della divinità romana Empanda protettrice di strade e viaggiatori, si dice spesso chiamata anche Panda tout court. Nome che oggi possiamo dire molto azzeccato e razionale, perché in quasi quarantacinque anni di vita gli oltre tre milioni di Panda prodotti hanno percorso moltissime strade e con tanta gente a bordo.
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Considerata assieme alla 500 l’utilitaria italiana per eccellenza, la Panda viene disegnata in un tempo record da Giorgetto Giugiaro al quale la Fiat sottopone un capitolato che deve mettere d’accordo molti fattori. La Panda fuori deve essere piccola, dentro grande e multifunzionale, leggera e poco costosa. Giugiaro concepisce una berlina a due volumi a trazione anteriore con due porte e portellone, lunga 3,38 metri con una linea squadrata e simpatica nella quale soluzioni funzionali come i gocciolatoi sono integrate nel design per evitare lavorazioni aggiuntive dannose per i costi. L’interno è geniale innovativo, in un sol colpo. Infatti, è configurabile in tanti modi grazie alla selleria ispirata a quella in tela a sospensione delle sdraio. Quindi, per esempio, può formare posteriormente un grande portaoggetti o un’amaca per bebè spostando i tubi di sostegno in appositi incastri, ma anche un letto di fortuna facendo scorrere in avanti i sedili anteriori e abbassando i loro schienali assieme a quello posteriore. La “tecnologia” tela-tubo ispira anche il marsupio che sostituisce la plancia spostando strumentazione, interruttori e bocchette dell’aerazione in un pannello dietro il volante.
La mamma di tutte le Panda debutta al salone di Ginevra del 1980 nelle versioni 30 con motore bicilindrico raffreddato ad aria con 30 cavalli della 126 riservata all’Italia e 45 che monta il quattro cilindri raffreddato ad acqua con 45 cavalli di 903 cc della 127. Esteticamente le due versioni si distinguono solo per la posizione asimmetrica della piccola grigliatura sul frontale: sulla 30 è sul lato destro per indirizzare l’aria alla ventola del bicilindrico, mentre sulla 45 è a sinistra per convogliarla verso il radiatore dell’acqua.
Prodotta sino al 2003, la prima Panda si evolve continuamente. In particolare, con l’iconica e inarrestabile 4x4 realizzata con la Steyr Puch equipaggiata con la trazione integrale inseribile, le varianti con doppio tetto apribile in tela, il sostanzioso restyling del 1986 con cui venne ufficialmente battezzata Panda Supernova (anche se nessuno l’ha mai chiamata così) con cui adotta motori Fire a quattro cilindri e i sedili imbottiti, nonché il ponte posteriore a Omega anziché rigido sulle versioni a trazione anteriore per migliorare il confort. In precedenza, non esaltante. Con questo aggiornamento arrivano anche versioni van e serie speciali.
In ventitré anni la prima Panda propone anche tanti nuovi allestimenti, monta per prima fra le utilitarie un motore diesel e offre con la versione Selecta il cambio automatico, quello a variazione continua del rapporto. Inoltre, tra il 1990 e il 1998 precorre i tempi con Elettra ed Elettra 2, chiaramente due versioni elettriche.
La seconda serie della versatile citycar Fiat si chiama fortunatamente ancora Panda. Infatti, aveva rischiato di chiamarsi Gingo come era stata presentata al salone di Ginevra del 2003 per sottolineare il fatto che era un’auto frutto di un progetto nuovo. Invece, ha continuato a chiamarsi Panda, grazie alla querelle sollevata dalla Renault per l’assonanza tra i nomi Gingo e Twingo che spinse la Fiat a utilizzare la ben conosciuta denominazione.
La seconda serie della Panda si ricollega alla prima solo con i tratti tesi della carrozzeria che, però, è a cinque porte e lunga 3,54 metri. La Panda 2.0 che sembra una monovolume in scala ridotta promettendo con l’aspetto (frutto della collaborazione tra il Centro Stile Fiat e la Bertone) una bella dose di funzionalità si basa su una piattaforma che sarà ripresa anche dalla 500 del 2008, ha un interno arredato in maniera convenzionale con una classica plancia sostenuta da una consolle centrale persino rialzata per mettere a portata di mano la leva del cambio. Inoltre, offre i sistemi elettronici di sicurezza più avanzati di quel periodo. La gamma motori è formata dai quattro cilindri a benzina di 1 e 1,2 litri, nonché dal turbodiesel di 1,3 litri. Nel 2004 è eletta Auto dell’anno e amplia la gamma con l’attesa versione 4x4 con un sistema di trazione permanente gestito dall’elettronica, da cui deriveranno anche la Climbing e la Cross con un outfit in stile outdoor. Nel 2006 arrivano la pepata versione 100 Hp e le bifuel Gpl e a metano. Dopo avere subito un unico leggerissimo restyling nel 2009, va in pensione nel 2012.
A sostituirla è la Panda 3 disegnata dal Centro Stile Fiat che raggiunge i 3,65 metri di lunghezza poiché la carrozzeria stilisticamente è un’evoluzione arrotondata della precedente, ispirata anche dalla necessità di aumentare i parametri di sicurezza negli urti. Questa serie riporta la produzione della citycar in Italia a Pomigliano d’Arco (la progenitrice nasceva a Tichy in Polonia) dove è e sarà ancora prodotta per qualche anno nell’aggiornamento in cui è commercializzata in questo periodo, che la sintonizza alle nuove normative relative ai dispositivi di sicurezza. Per di più, declinandosi anche nella sfiziosa variante Pandina. Ovvero, il vezzeggiativo con cui la Panda è stata sempre chiamata un po’ da tutti.
Questa generazione che si basa su un’evoluzione dell’architettura della Panda precedente, in particolare per soddisfare l’upgrading dei requisiti di sicurezza, dentro ha un arredamento che trae qualche spunto dalla 500 ma che, tra l’altro, integra nella plancia una mensola ispirata a quella della Panda del 1980. Dal 2020 offre un infotainment con un display da 7” e che supporta Apple Car Play e Android Auto, al quale nella recente Pandina si affianca un cluster digitale da 7”. Come quelle delle progenitrici, la famiglia di questa Panda ha proposto molti allestimenti, tante versioni speciali, oltre alle irrinunciabili versioni 4x4 e Cross nonché van.
Al debutto ai motori a benzina di 1,2 litri, turbodiesel di 1,3 litri e bifuel Gpl e Metano evoluzioni di quelli della serie precedente si affianca il bicilindrico a benzina TwinAir di 900 cc, offerto in versioni aspirata e sovralimentata, in seguito proposto anche nella variante con alimentazione a metano. Nel 2020 arriva la versione Hybrid con tecnologia a 12 V, spinta da un motore a tre cilindri di 1 litro.
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