di Mar.B.
(ANSA)
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Le liste d’attesa sono forse il sintomo più evidente di una malattia cronica che colpisce il nostro Servizio sanitario nazionale da quasi vent’anni: la carenza di personale sanitario che nei mesi più drammatici della pandemia è stata la ferita che ha fatto più male quando si era costretti a ricorrere a pensionati o giovani laureati per coprire i buchi.
Oggi mancano all’appello almeno 80mila operatori tra medici e infermieri e si tratta probabilmente di una stima al ribasso: sono almeno 10mila i medici specialisti da assoldare per far lavorare a pieni giri gli ospedali, a cui aggiungere almeno 4mila camici bianchi nei pronto soccorso – vera trincea della Sanità – e circa 5mila medici di famiglia oggi sempre più introvabili per tanti cittadini. A loro vanno aggiunti dai 60 ai 70mila infermieri – forse la carenza più importante – visto che il loro ruolo è cruciale non solo negli ospedali dove già mancano, ma soprattutto per le nuove cure sul territorio, quelle su cui il Pnrr investe 7 miliardi e che vedranno proprio gli infermieri protagonisti dentro e fuori le nuove strutture, come le case e gli ospedali di comunità.
Dal 2008 il Ssn ha perso oltre 40mila dipendenti anche se con le assunzioni straordinarie durante il Covid – soprattutto però contratti a tempo – c'è stato un mini recupero e oggi perla Sanità lavorano in 670mila. Turni massacranti, pochi giorni di riposo e ferie col contagocce – in questo momento si stima che quasi un terzo del personale sia in ferie aggravando ancora di più il peso su chi resta a lavoro - a cui aggiungere lo tsunami del Covid hanno reso sempre meno attrattivo lavorare negli ospedali pubblici e così sono esplosi due fenomeni paralleli: da una parte la fuga dal Servizio sanitario nazionale con oltre 2mila dimissioni di camici bianchi ogni anno in fuga verso il privato o verso l'estero, dall'altro il boom dei gettonisti, i sanitari cioè “affittati” per coprire i buchi di personale con un turno di 10-12 ore pagato fino a 2mila euro lordi. Un paradosso per il Ssn alle prese con le risorse sempre con il contagocce che invece spende per i medici pagati a gettone. A favorire questo cortocircuito è un vincolo alle assunzioni e cioè il fatto che da oltre 15 anni è in vigore un tetto di spesa del personale che prevede che per le assunzioni non si spenda più di quanto speso nel 2004 a cui sottrarre l’1,4%.
Una strozzatura che ha limitato il ricambio del personale sanitario – a cui si aggiungeva in passato anche il blocco del turn over nelle Regioni in piano di rientro - facendoci trovare sguarniti quando è arrivata la pandemia. Proprio per aggirare questo vincolo le Regioni e gli ospedali visto che si trovano spesso con le mani legate sulle nuove assunzioni sono ricorse alla voce “beni e servizi” dove non c’è il tetto per assoldare attraverso le cooperative i gettonisti, ma pagandoli a peso d’oro. Una enorme stortura contro la quale il ministro della Salute Orazio Schillaci ha approvato un giro di vite che però scatterà solo tra un anno: impossibile per tanti ospedali rinunciare infatti su due piedi a questi medici in “affitto”.
Marzio Bartoloni
caposervizio
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