di Rita Fatiguso
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Sono il trionfo del pragmatismo cinese che punta a un mondo senza il dollaro, perché Pechino è aperta a siglare accordi bilaterali di currency swap con chi c’è, quando c’è, e se c’è. E se da un capo del mondo la politica cambia le carte sul tavolo, la diplomazia economica è pronta a cogliere opportunità da un’altra parte. Gli swap sono intese tra Banche centrali - finora la Cina ne ha siglati una quarantina - che permettono di scambiare beni e servizi nelle monete locali bypassando il dollaro e, soprattutto, ovviando alla non convertibilità dello yuan. Pechino così mentre fa la guerra al dollaro apre la strada all'internazionalizzazione del renminbi.
Ormai la Cina vanta un expertise speciale, incubato a Hong Kong, trasferito poi nella City di Londra e nei Paesi Asean per poi tornare in Europa con la Ue e ancora in America Latina, Medio Oriente, Africa. Di fatto, la più grande rete mondiale di accordi di swap valutario è saldamente in mano alla Cina, che riesce così ad aprire linee di credito enormi con il renminbi che pure non è convertibile. L’Argentina ha aperto una linea di currency swap per la seconda volta in tre anni da 6,5 miliardi di dollari, per incrementare le riserve in valuta estera ormai esauste e fronteggiare un’inflazione annua superiore al 130 per cento. Anche l’accordo con il Brasile grazie al feeling tra Lula, tornato al potere, e Xi Jinping ha avuto l’effetto di trainare l’internazionalizzazione del biglietto rosso.
Last but not least, il 20 novembre anche le Banche centrali di Arabia Saudita e Cina hanno siglato un accordo di currency swap da 50 miliardi di yuan o da 26 miliardi di rial, equivalenti a quasi 7 miliardi di dollari Usa. Gli scambi non avverranno in dollari, ma nella moneta dei due Paesi. Se il format è tipico (durata triennale, intesa rinnovabile alla scadenza su “esplicito mutuo consenso”), il partner è davvero speciale.
L’intesa con i sauditi arriva nel giorno della vittoria di Javier Milei (video), il presidente argentino anti-Cina che, con tutta probabilità, smantellerà il castello dello swap siglato dai predecessori. Pazienza. Pechino ci ha messo un anno a preparare il terreno di un accordo siglato al momento giusto con l’Arabia Saudita, il che assicura scorte di energia dal principale esportatore di petrolio al mondo, senza ignorare il peso delle infrastrutture da realizzare e altri aspetti come la sicurezza e la tecnologia. Secondo le dogane cinesi Pechino l’anno scorso ha importato greggio saudita per 65 miliardi di dollari (83% delle esportazioni saudite verso la Cina). Negli ultimi anni l’Arabia Saudita, il principale esportatore di petrolio al mondo, e la Cina, il più grande consumatore di energia al mondo, hanno lavorato per portare le relazioni oltre i legami relativi agli idrocarburi, espandendo la collaborazione ma nell’ambito più ampio, comprensivo di tutto il Medio Oriente. Il primo vertice Cina-Paesi Arabi giusto un anno fa ha aperto la strada all’acquisto di petrolio e gas in yuan, un’operazione che oggi si concretizza.
Se sul versante America Latina c’è il rischio che possa venir meno un pilastro importante come l’Argentina che, ricordiamolo, dovrebbe entrare nei Brics allargati a inizio anno, un’altra mossa strategica è stata la conquista della Russia, impantanata nel conflitto in Ucraina. Putin ha sostenuto lo sviluppo dell’uso della valuta cinese nel commercio con Paesi Terzi. «Sosteniamo l’uso dello yuan in pagamenti fra la Russia e Paesi in Asia, Africa e America Latina», dimostrando di voler «navigare» nei pool creati dalla Cina attraverso accordi di swap per il clearing. «Le valute nazionali sono sempre più usate» nel commercio bilaterale e due terzi dello scambio fra Russia e Cina già avviene in rubli e yuan - ha sottolineato Vladimir Putin affrontando il tema - una pratica che va ulteriormente incoraggiata» così come va estesa la mutua presenza di istituzioni finanziarie e bancarie russe e cinesi. Lo swap siglato con Mosca, di fatto, ha tenuto Putin agganciato alla grande rete di accordi siglati dai cinesi aprendo al presidente russo una vera e propria autostrada planetaria, con l’internazionalizzazione dello yuan in piena corsa. La Russia da gennaio ha superato l’Arabia Saudita come principale fornitore di petrolio della Cina, ma dopo la sigla ancora fresca di inchiostro non è detto che le parti non si invertano.
Rita Fatiguso
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