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Competenze trasversali: perché sono una chiave per affrontare il presente e capire il futuro

di Gianni Rusconi

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Competenze trasversali: perché sono una chiave per affrontare il presente e capire il futuro

Competenze trasversali: perché sono una chiave per affrontare il presente e capire il futuro

I leader chiamati a guidare le aziende non potranno dunque essere dei “puri specialisti” ma dovranno essere manager in grado di combinare le hard skill con le soft skill, mettendo al servizio dell’organizzazione anche le proprie attitudini a condividere esperienze e obiettivi

18 dicembre 2023
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5' di lettura

Le competenze tecniche? Fondamentali. Il mondo del lavoro sta vivendo nel suo complesso un cambiamento epocale, che richiede conoscenze avanzate e sempre aggiornate per essere al passo con l’evoluzione di modelli e processi imposti dalla discontinuità dei mercati e per rispondere adeguatamente alle sfide che accompagnano la trasformazione digitale. Ma c’è un’altra dimensione di competenze che sta diventando, sempre di più, un “asset” di valore per i recruiter che devono attrarre e selezionare i talenti, per i team di lavoro che spesso e volentieri sono sottodimensionati e, in generale, per tutte le organizzazioni che inseguono l’imperativo dell’agilità e della resilienza. Le competenze trasversali, secondo una classica definizione, rappresentano l’insieme delle attitudini di un individuo sul posto di lavoro, e quindi il modo di confrontarsi e relazionarsi con i colleghi, la capacità di risolvere problemi più o meno complessi, le sue doti di empatia e di comunicazione. Un mix di qualità personali, aiutate e supportate dalla conoscenza, che entrano in gioco per reagire agli input dell’ambiente in cui la persona svolge la propria professione.

L’importanza delle soft skill

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Sull’importanza delle soft skill si è già detto e scritto moltissimo (forse pure troppo). Se però anche organismi di spessore come il World Economic Forum (nel rapporto “The future of jobs 2020”) hanno eletto le competenze trasversali tra i requisiti chiave nei processi di assunzione, una ragione valida ci sarà. Nondimeno non possono passare sotto traccia i tanti studi che confermano come, nell’arco dei prossimi anni, le capacità associabili al pensiero innovativo e alla componente motivazionale, all’apprendimento attivo e al lavoro di gruppo, al problem solving e al pensiero critico, saranno le più richieste dalle aziende di tutti i settori.

I leader chiamati oggi e nel futuro prossimo a guidare le aziende non potranno dunque essere dei “puri specialisti” di una materia (pensiamo alle figure tech che opereranno in un mondo sempre più pervaso dal lavoro degli algoritmi di intelligenza artificiale) ma essere manager (di loro stessi e dei team alle proprie dipendenze) in grado di combinare le hard skill con le soft skill, mettendo al servizio dell’organizzazione competenze specifiche ma anche le proprie attitudini a condividere esperienze, obiettivi, problematiche e successi.

L’evento dell’Università Cà Foscari di Venezia

Al tema delle soft skill e al ruolo fondamentale che oggi gioca questa componente nel mercato del lavoro, il Competency Centre dell’Università Cà Foscari di Venezia ha dedicato lo scorso 9 novembre un’intera giornata di incontri e interventi per fare luce sull’evoluzione delle metodologie impiegate per la loro valutazione e il loro sviluppo. Il messaggio di fondo emerso dall’evento rispecchia totalmente la tendenza che vede in costante progressione la rilevanza assunta dalle competenze emotive, sociali e cognitive nei diversi contesti della vita personale e professionale di una persona.

L’imprinting dato all’evento da Fabrizio Gerli, Professore Associato del Dipartimento di Management e Direttore del Ca’ Foscari Competency Centre, inquadra perfettamente lo scenario in cui questa tendenza ha preso sostanza. «A stimolare la richiesta competenze trasversali in grado di andare oltre quelle specialistiche è stato il mercato del lavoro, ed è da questo presupposto che nasce il progetto del centro: in questi anni sono stati oltre 200 i percorsi di studio conclusi e circa 6mila le persone formate sulle soft skill puntando sulla connessione e sulla condivisione di conoscenze ed esperienze con il mondo delle imprese e con la comunità scientifica. L’obiettivo – ha aggiunto Gerli – è rispondere alle esigenze della domanda: le competenze in termini di time management e di gestione delle priorità sono oggi in testa fra i requisiti richiesti ai profili che entrano in un’organizzazione mentre resilienza, agilità, leadership e pensiero analitico sono aspetti altrettanto prioritari nella richiesta di professionalità».

Un’esigenza strategica

Formare le competenze trasversali rappresenta quindi una sorta di “missione” che risponde a un’esigenza del presente e che, al contempo, guarda strategicamente a un futuro che chiederà maggiore attenzione all’inclusione (a cominciare dalle donne in posizione apicali) e metterà al centro fattori quali l’impatto delle soft skill sulle scelte di carriera e sulla leadership. Nell’ambito dei processi Hr, come conferma anche Sara Bonesso, Professoressa Associata del Dipartimento di Management di Ca’ Foscari e Vice-direttrice del Competency Centre, le competenze trasversali sono già oggi una priorità nelle fasi di selezione dei candidati e di gestione delle performance e sono considerate una componente di valore soprattutto per ciò che concerne l’orientamento al risultato e al cambiamento e le capacità di comprendere il contesto organizzativo e il team con cui si lavora per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

La questione motivazionale

L’attività del Competence Centre di Cà Foscari riflette, del resto, un approccio che un esperto riconosciuto a livello mondiale in materia di comportamento organizzativo e scienze cognitive come Richard Boyatzis, Distinguished Professor presso la Case Western Reserve University (oltre che membro dell’Advisory Board del centro dell’ateneo veneziano), ha riassunto in un concetto ben preciso: il problema della motivazione sul luogo del lavoro è globale e la pandemia ha accentuato il livello di insoddisfazione delle persone, alimentando fenomeni come la “great resignation” e il “quite quitting”. Aumentare l’engagement dei propri dipendenti, ha sottolineato quindi Boyatzis, deve essere l’obiettivo di ogni organizzazione, e le competenze trasversali sono la base per costruire relazioni durature e partecipative fra management e collaboratori, sfruttando le leve della condivisione, dell’innovazione e della soddisfazione personale. Se le persone che lavorano in azienda - questa la sintesi del pensiero dell’esperto - sono sempre più fortemente interessate a trovare le giuste motivazioni e la necessaria serenità sul posto di lavoro, le aziende sono tenute a soddisfare queste richieste, pena il rischio che i talenti in organico le cerchino altrove.

Lecito, in proposito, chiedersi se alle soft skill sia effettivamente riconosciuto il giusto valore anche dal punto di vista del trattamento economico. Secondo Gerli e Bonesso, la risposta abbraccia due diversi livelli. Il primo parte dal presupposto che l’essere in possesso di competenze trasversali viene valorizzato, anche se indirettamente, in relazione al fatto che esse stesse sono le determinanti principali di una performance superiore: e siccome ad essere valorizzata economicamente è la performance individuale, ecco che le soft skill rappresentano le fonti primarie di quella performance. C’è poi un secondo livello, legato alla misurazione quantitativa di queste competenze, sia in sede di job interview sia in fase di assessment. Secondo i due docenti di Cà Foscari, gli strumenti di valutazione più validi si fondano sul concetto che il migliore indicatore del comportamento futuro di un individuo è il suo comportamento passato: per questo motivo, l’osservazione dei comportamenti attraverso questionari o analisi di eventi già avvenuti rappresenta la principale fonte di riferimento per misurare le competenze trasversali.

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