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Italiani sonnambuli: il report Censis fotografa una società cieca dinanzi ai presagi

di Andrea Carli

Post covid e crisi demografica presentano il conto

Il 57esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese fotografa una società italiana cieca dinanzi ai presagi. L’inversione di ciclo dell’occupazione, il rallentamento della crescita, la crisi demografica, il ritorno della guerra, le incognite sul welfare: sono tutti temi che suscitano preoccupazione, ma che la maggior parte degli italiani preferisce ignorare

1 dicembre 2023
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4' di lettura

Una società italiana affetta da sonnambulismo, che si mette una mano davanti agli occhi e ignora i presagi. È quella che viene raccontata dal 57esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, un appuntamento oramai di routine, un’occasione per cogliere i contorni della fase che stiamo affrontando.

Italiani sonnambuli

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Il primo punto che viene fuori, che è poi il filo rosso che accompagna l’intera indagine, è quello che vede gli italiani ciechi dinanzi ai presagi. A partire dalla crisi demografica : nel 2050 avremo quasi 8 milioni di persone in età lavorativa in meno. Siamo intrappolati nel mercato dell’emotività: per l’80% degli italiani il Paese è in declino, per il 69% più danni che benefici dalla globalizzazione, e adesso il 60% ha paura che scoppierà una guerra mondiale e secondo il 50% non saremo in grado di difenderci militarmente. Ancora: ripiegati nel tempo dei desideri minori: non più alla conquista dell’agiatezza, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano. L’economia dopo la fine dell’espansione monetaria? Record di occupati, ma crescita in rallentamento. Intanto monta l’onda delle rivendicazioni dei diritti civili individuali e delle nuove famiglie (è favorevole all’eutanasia il 74% dei cittadini). E nella siderale incomunicabilità generazionale va in scena il dissenso senza conflitto dei giovani, esuli in fuga (sono più di 36.000 gli expat di 18-34 anni solo nell’ultimo anno).

Il rallentamento della crescita e le sue conseguenze

Il segno negativo davanti alla variazione del Pil nel secondo trimestre dell’anno (-0,4%) e poi la stagnazione dell’economia registrata nel terzo trimestre (0,0%) certificano una nuova fase di incertezza, che peraltro ancora non incorpora gli effetti del conflitto in Medio Oriente. Tra il primo e il secondo trimestre di quest’anno si sono ridotti dell’1,7% gli investimenti fissi lordi (in particolare nelle costruzioni: -3,3%). Molte delle attese di rafforzamento del sistema produttivo si sono riversate sulle potenzialità del Pnrr, che secondo le stime raggiungerà alla fine del 2023 una percentuale di completamento pari al 50%, rispetto a una tabella di marcia che prevedeva il 74%.

L’inversione di ciclo dell’occupazione

Il Censis sottolinea che siamo passati rapidamente dagli allarmi sugli elevati tassi di disoccupazione al record di occupati , mentre il sistema produttivo lamenta sempre più frequentemente la carenza di manodopera e di figure professionali. La fase espansiva dell’occupazione, avviata già nel 2021, si è consolidata nel primo semestre di quest’anno. Tra il 2021 e il 2022 gli occupati sono aumentati del 2,4% e nei primi sei mesi dell’anno la crescita rispetto allo stesso periodo del 2022 è stata del 2,0%. Sono 23.449.000 gli occupati al primo semestre: il dato più elevato di sempre. Tuttavia, rispetto ai primi tre mesi di quest’anno, si sono ridotte le ore lavorate in tutti i settori produttivi: -3,0% nell’agricoltura, -1,1% nell’industria, -1,9% nelle costruzioni, -0,5% se si considera l’intera economia. L’Italia rimane comunque all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione: il 60,1%, aumentato di 2 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, ma ancora al di sotto del dato medio europeo (69,8%) di quasi 10 punti. Se nel nostro Paese si raggiungesse il dato medio europeo, avremmo circa 3,6 milioni di occupati in più.

Espatriati e esuli: in fuga verso l’altrove

L’Italia continua a essere un Paese di emigrazione (sono più di 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia), più che di immigrazione (sono 5 milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese, pari all’8,6% dei residenti in Italia). Gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). A caratterizzare i flussi centrifughi più recenti è l’aumento significativo della componente giovanile. Nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44,0% tra 18 e 34 anni (36.125 giovani). Con i minori al seguito delle loro famiglie (13.447) si sfiorano le 50.000 unità: il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno. Anche il peso dei laureati sugli expat 25-34enni  è aumentato significativamente, passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021. Un drenaggio di competenze che non è inquadrabile nello scenario di per sé positivo e auspicabile della circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati appare costantemente negativo per l’Italia.

Il mercato dell’emotività: trovano terreno fertile paure amplificate

Nell’ipertrofia emotiva in cui la società italiana si è inabissata, le argomentazioni ragionevoli possono essere capovolte da continue scosse emozionali. Tutto è emergenza: quindi, nessuna lo è veramente. Così trovano terreno fertile paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e il verosimile. L’84,0% degli italiani è impaurito dal clima «impazzito», il 73,4% teme che i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese provocheranno nei prossimi anni una crisi economica e sociale molto grave con povertà diffusa e violenza, per il 73,0% gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori  sempre più intensi e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre o per effetto del cambiamento climatico, il 53,1% ha paura che il colossale debito pubblico provocherà il collasso finanziario dello Stato.

Il ritorno della guerra

Il ritorno della guerra ha suscitato nuovi allarmi: il 59,9% degli italiani ha paura che scoppierà un conflitto mondiale che coinvolgerà anche l’Italia, per il 59,2% il nostro Paese non è in grado di proteggersi da attacchi terroristici di stampo jihadista, il 49,9% è convinto che l’Italia non sarebbe capace di difendersi militarmente se aggredita da un Paese nemico, per il 38,2% nella società sta crescendo l’avversione verso gli ebrei.

Le incognite sul welfare

Anche il welfare del futuro instilla nell’immaginario collettivo grandi preoccupazioni: il 73,8% degli italiani ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate. Sono scenari ipotetici che paralizzano invece di mobilitare risorse per la ricerca di soluzioni efficaci e generano l’inerzia dei sonnambuli dinanzi alla complessità delle sfide che la società contemporanea deve affrontare.

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