di Cristina Casadei
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I fenomeni a cui stiamo assistendo con sempre più frequenza nel mercato del lavoro, dal disorientamento dei più giovani, al disallineamento tra domanda e offerta, fino alle dimissioni e alla forte mobilità, ci mettono di fronte al fatto che per leggere il mercato del lavoro servono nuove lenti. Ne è convinto Federico Vione, ceo di MAW e W-Group, che interpreta il lavoro anche attraverso una nuova ricerca che la società ha realizzato sentendo un campione di 2.600 lavoratori per capire bisogni, desideri e priorità. Gli intervistati sono per il 46% uomini e per il 50% donne (4% preferisce non dirlo), hanno un’età media di 37 anni, prevalentemente lavorano da almeno 1 anno (88%) e provengono dai settori più svariati, da metalmeccanica, ad alimentare, servizi, commercio, chimica, gommaplastica, Pa, trasporto e multiservizi. La maggior parte (62%) lavora in aziende con più di 50 dipendenti.
Emerge che solo tre su 10 dicono di essere pienamente soddisfatti della propria posizione lavorativa e circa una su due si sente abbastanza apprezzato e stimato sul posto di lavoro. Lasciandosi guidare dai dati, Vione evidenzia che «i lavoratori non cercano solo un posto di lavoro, ma qualcosa di più, ed è fondamentale per le aziende chiedersi se i propri dipendenti si sentano quindi sufficientemente coinvolti nei processi di crescita aziendale. Leggendo i dati, infatti, prendiamo atto che la carriera viene dopo la vita personale nella scala delle priorità e per quasi la metà del campione non è un aspetto di primaria importanza. I lavoratori coinvolti ci hanno raccontato, poi, l’importanza dell’aspetto salariale, che naturalmente continua ad essere al primo posto quando si cambia lavoro, ma anche del benessere sul luogo di lavoro: più di sei persone su dieci non lasciano i datori di lavoro che sanno valorizzarli e un buon rapporto con i colleghi è determinante nella scelta di non lasciare il proprio posto di lavoro».
Sul posto di lavoro, i dipendenti cercano principalmente due cose: uno stipendio adeguato (76%) e un bel clima lavorativo (56%). La crescita professionale conta quanto l’avere un carico di lavoro adeguato, registrati al 40% e 37%. Il dato è quanto più significativo se si considera il 33% dei dipendenti dice di voler lavorare con bassi livelli di stress.«Incrociando questi dati con l’evidenza che una persona su due non si sente abbastanza apprezzata e stimata sul posto di lavoro, emerge che le strategie di retention spesso non sono adeguate ai reali bisogni dei lavoratori, a loro volta non ascoltati a sufficienza - afferma Vione -. Abbiamo chiesto loro di indicare le priorità sul lavoro e ne è emerso che ciò che chiedono è un compenso adeguato e un buon clima lavorativo. Nessun benefit o premialità speciale è tra le risposte più gettonate, a dimostrazione di come spesso trattenere i talenti in azienda possa essere meno complicato di quanto si pensa».
I benefit aziendale diventano sempre più un modo per attrarre, coinvolgere e trattenere i talenti. Dall’analisi emerge tuttavia un parziale scollamento tra l’offerta dei datori di lavoro e i desiderata dei dipendenti in materia di benefit: il 38% degli intervistati, infatti, non ne percepisce nessuno.I più diffusi sono i buoni pasto (31%), i pacchetti welfare (25%), i corsi di formazione (21%) mentre lo smart working viene concesso solo al 9%.Tra i benefit più ambiti dai dipendenti spiccano invece i bonus in denaro (54%), seguiti dai buoni pasto (33%), i corsi di formazione (22%). La quota di chi desidera lo smart working è registrata al 16%, soprattutto dai lavoratori delle grandi aziende, mentre i lavoratori di piccole imprese chiedono maggiormente formazione.
Un buon clima aziendale e rapporti costruttivi con i colleghi appaiono fondamentali. Dalla ricerca MAW è emerso infatti che il rapporto con i colleghi è tra le principali ragioni (31%) per cui i lavoratori decidono di restare nell’attuale posto di lavoro. Altre ragioni sono la vicinanza della sede di lavoro a casa (30%), la libertà di organizzazione e il bilanciamento vita-lavoro (entrambe le ragioni scelte dal 16%).Il rapporto con il proprio superiore determina in maniera netta il sentirsi a proprio agio sul posto di lavoro. In generale si registrano rapporti positivi con questa figura apicale, per il 37% è di fiducia e per il 35% è amichevole, anche se c’è un 31% che lo considera migliorabile e una minoranza (10%) che lo definisce stressante.
Il rapporto con il capo migliora o peggiora in base all’età: se la Gen Z ha un rapporto più amichevole e stimolante con il proprio superiore, altre fasce d’età (25-34 e 35-50 anni) lo ritengono migliorabile.Sono poi state individuate le migliori caratteristiche che un leader dovrebbe avere: compare al primo posto il saper ascoltare (26%), seguito dall’essere in grado di valorizzare i talenti (19%), dalla capacità di dare fiducia (17%), e dal saper stimolare il lavoro in team. Oltre sei rispondenti su dieci non hanno lasciato il loro “miglior” datore di lavoro, ovvero colui o colei che incarnava tutte queste caratteristiche, e se l’hanno fatto sono stati condizionati per il 13% dal fallimento di quell’azienda o dall’impossibilità di fare carriera (10%).
Chi ha deciso di cambiare lavoro almeno una volta nel corso della sua vita professionale (56%), lo ha fatto perché si è sentito sfruttato (22%), non valorizzato (19%), perché non si trovava bene con il proprio capo (16%), o per i carichi di lavoro eccessivi che non consentivano di avere un buon bilanciamento vita-lavoro (16%). A dichiararsi insoddisfatti della scelta compiuta è stato solo il 14% del campione. Di questa percentuale, solo il 4% tornerebbe al lavoro precedente, mentre il restante 10% - pur insoddisfatto – non tornerebbe sui propri passi. Nel determinare la scelta, il contratto offerto conta per il 54%, seguito dalla vicinanza a casa (48%), la flessibilità di orario (45%), la possibilità di fare carriera (39%).
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