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Caporalato, Giorgio Armani operations in amministrazione giudiziaria

di Redazione Moda

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Caporalato,  Giorgio Armani operations in amministrazione giudiziaria

Caporalato, Giorgio Armani operations in amministrazione giudiziaria

Secondo l’inchiesta dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro la società del gruppo Armani appaltava la produzione di borse e accessori ad aziende che a loro volta si appoggiavano a opifici che sfruttavano la manodopera cinese. L’azienda: «Collaboreremo con massima trasparenza»

5 aprile 2024
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3' di lettura

L’inchiesta della procura di Milano su episodi di caporalato in opifici cinesi sparsi per la Lombardia colpisce un big della moda italiana: la Giorgio Armani Operations, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori nell’ambito del gruppo Armani, è stata posta in amministrazione giudiziaria per presunto sfruttamento del lavoro. L’azienda - come era già capitato qualche mese fa con Alviero Martini Spa, presumibilmente nell’ambito della stessa indagine - non avrebbe vigilato correttamente sulle società a cui ha appaltato le proprie produzioni. Società che, non avendo la capacità produttiva per portare a termine le commesse internamente, avrebbero a loro volta subappaltato l’attività a opifici abusivi che facevano ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina, con orari di lavoro massacranti (si parla di 14 ore) e paghe orarie molto basse.

I pm Paolo Storari e Luisa Baima Bolloni, a seguito dell’inchiesta portata avanti dai carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro, hanno ritenuto l’azienda «incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo» nel ciclo produttivo «non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato».

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L’amministrazione giudiziaria è una misura prevista dalla legge 159/2011 per chi approfitta di condotte illecite altrui - quindi la società non risulta indagata - e pone di fatto la società sotto il controllo di un amministratore. La misura viene applicata per un periodo non superiore ad un anno e può essere prorogata di ulteriori sei mesi per un periodo complessivamente non superiore ai due anni.

La produzione esternalizzata di borse al centro dell’inchiesta

Come nel caso di Alviero Martini, alla Giorgio Armani Operations viene contestato il mancato controllo della propria filiera produttiva, localizzata a pochi chilometri dall’headquarter milanese. Nella nota dei carabinieri si legge che «si è potuto accertare che la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi». L’azienda fornitrice «dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento».

Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva «in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri ), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico».

L’indagine dei carabinieri partita a dicembre

Il Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, a partire da dicembre 2023, ha trovato quattro opifici irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e 9 anche non in regola sul territorio nazionale. Sono stati denunciati a vario titolo per caporalato i quattro titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 9 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a oltre 80.000 euro e sanzioni amministrative pari a 65.000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per «gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero».

La risposta del gruppo Armani

«Apprendiamo della misura di prevenzione decisa dai Tribunali di Milano nei confronti della Giorgio Armani Operations - recita una nota del gruppo - . La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura. La Giorgio Armani Operations collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda».

ll gruppo Armani, cui fa capo anche la Giorgio Armani Operations, è stato fondato quasi 50 anni fa (li compirà nel 2025) dallo stilista piacentino, ma milanese di adozione, Giorgio Armani, che rimane l’attuale proprietario. Il gruppo è una tra le più grandi e importanti aziende delle moda non quotate: nel 2022 i ricavi netti sono arrivati a 2,35 miliardi, in crescita del 16,5% rispetto all’anno precedente; il fatturato indotto supera i 4,5 miliardi mentre il fatturato a valori retail è stimato oltre i 6,5 miliardi di euro. Positivi anche i dati di redditività gestionale (ex International financial reporting standard, Ifrs16, si precisa nel comunicato ufficiale): l’ebitda è arrivato a 289 milioni, in crescita del 25% rispetto al 2021, mentre l’ebit è salito del 30% a 202,5 milioni di euro.

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