1.600 aggressioni l'anno a medici e infermieri
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Offrirà prestazioni sanitarie, anche a casa, ma sarà soprattutto una guida che accompagnerà il cittadino nella gestione della salute, attivando i servizi di cura, tenendo le fila tra i diversi professionisti e, laddove necessario, coinvolgendo i servizi socio-assistenziale. È il ritratto dell’infermiere di famiglia e di comunità contenuto in apposite linee di indirizzo stilate dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas).
«Quella dell’infermiere di famiglia e di comunità è una figura che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto già 20 anni fa. L’Italia è arrivata un po’ in ritardo: se ne è parlato la prima volta nel Patto per la Salute 2019-2021, ma poi non si è dato corso per concretizzarla», spiega Barbara Mangiacavalli, presidente dell’ordine professionale degli infermieri (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche - Fnopi). «Durante la pandemia è stata poi finalmente calata nella realtà italiana con il Dm 77», la riforma che ridisegna la sanità territoriale.
Secondo le linee di indirizzo, l’infermiere di comunità, inquadrato come dipendente del servizio sanitario, lavorerà a livello ambulatoriale, a livello domiciliare o, più in generale, nella comunità. Non sarà «solo un erogatore di assistenza sanitaria, ma anche potenziale attivatore di servizi assistenziali», prosegue Agenas. In questo ruolo lavorerà insieme agli altri professionisti presenti nella comunità: medici di famiglia, assistenti sociali, professioni della riabilitazione, infermieri dell’assistenza domiciliare.
Nel concreto, tra le sue molte attività, potrà per esempio aiutare i cittadini a gestire al meglio la malattia con interventi di educazione sanitaria oppure fungere da sensore dei bisogni dei pazienti e della famiglia o ancora facilitare i percorsi di presa in carico da parte dei servizi assistenziali.
È previsto apposito percorso formativo che prevede un master universitario di primo livello in “Infermieristica di famiglia e di Comunità” o percorsi specifici di tipo regionale. Complessivamente saranno quasi 20 mila: 1 ogni 3.000 abitanti. «Per metà di essi, la Finanziaria di due anni fa ha già stanziato le risorse», dice Mangiacavalli. «Per gli altri, alcune Regioni hanno previsto piani di assunzioni per raggiungere lo standard». L’ultima rilevazione dell’Agenas, dell’estate 2021, stimava in circa 1.380 gli infermieri di famiglia già inseriti nei servizi. «Tuttavia, da allora, il loro numero è aumentato e cresce di mese in mese», aggiunge la presidente Fnopi.
Il problema reale resta il numero complessivo di infermieri, insufficiente a causa soprattutto di pesanti carichi di lavoro, retribuzioni non adeguate (intorno ai 1.500-1600 euro al mese) e scarse opportunità di carriera. Mangiacavalli lo ha sottolineato in una lettera inviata il 20 settembre alla presidente del Consiglio, al ministro della Salute e a quella dell’Università e della Ricerca, in cui ha avvertito che, senza interventi che aumentino l’attrattività della professione, si rischia di compromettere la capacità di garantire il diritto alla salute.
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